lunedì 5 maggio 2008

CASSAZIONE: MORTI URANIO, NIENTE PROCESSO ALLA DIFESA

ARCHIVIATE ACCUSE A MINISTERO, NON E' PROVATO IL NESSO LEUCEMIA-BOSNIA

- ROMA, 5 MAG - Non ci sara' - almeno per ora - alcun processo ai vertici del Ministero della Difesa in relazione alla morte, a seguito di tumori, di militari italiani impegnati in missioni di pace all'estero durante le quali sarebbero entrati in contatto con l'uranio impoverito. Lo ha stabilito la Cassazione che ha confermato l'archiviazione della denuncia dei familiari di Salvatore Vacca (23 anni) - il caporalmaggiore del 151/mo Reggimento della Brigata Sassari morto nel settembre 1999 per leucemia acuta, dopo 150 giorni dal rientro dalla Bosnia - presentata alla Procura di Cagliari. Il Gip, il 26 settembre 2005, aveva archiviato il fascicolo per omicidio colposo aperto contro ignoti. Nell'ordinanza che metteva fine all'inchiesta si escludeva che ci fossero gli estremi per sostenere la responsabilita' per ''condotta colposa omissiva impropria'' dei vertici dell'Amministrazione militare. In particolare, la Cassazione - con la sentenza 17693 della Quarta sezione penale - ha dichiarato ''inammissibile'' il ricorso presentato dai parenti del caporalmaggiore di Naxis (Cagliari) contro l'archiviazione. I supremi giudici hanno infatti ritenuto corretto il provvedimento del Gip che evidenziava come ''le incertezze emerse sia sul piano fattuale che sotto il profilo epidemiologico, in ordine alla possibilita' di individuare un nesso causale prevalente ed esclusivo tra la contaminazione da uranio impoverito ed il decesso di Salvatore Vacca, impediscono di sostenere che la condotta colposa omissiva impropria dei rappresentanti di vertice dell'Amministrazione militare e del Ministero della Difesa abbia potuto avere una efficacia condizionante nella produzione della morte del militare''. Senza successo, dunque, i familiari del giovane hanno sostenuto - davanti ai magistrati di Piazza Cavour - che l'archiviazione era ''abnorme'' perche' aveva ''un contenuto assolutorio adottato da un giudice, come il Gip, che non ha alcun potere in tal senso, dovendosi solo occupare della fondatezza della notizia di reato''. Ma la Cassazione ha risposto che l'operato del Gip e' corretto perche' ''non ha fatto altro che prendere atto della impossibilita' di accertare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato ipotizzato dai denuncianti, sulla base delle attivita' investigative, peraltro approfondite ed agevolate dalla collaborazione dell'amministrazione militare, e confortate dai risultati delle analisi sui reperti biologici''. Ad ogni modo le indagini per la morte dei militari (quattro solo in Sardegna) - sottolinea la Suprema Corte - si possono riaprire ''in qualsiasi momento su richiesta del Pm, sollecitato anche dai familiari delle vittime''.

''Era preciso dovere dei militari adottare misure di precauzione''. Lo afferma Falco Accame, presidente dell'Anavafaf, un'associazione che assiste i familiari delle vittime arruolate nelle Forze armate, sottolineando di ''non condividere'' la decisione della Cassazione che ha di fatto escluso di poter procedere contro il ministero della Difesa per omicidio colposo in relazione ai militari morti per presunta contaminazione da uranio impoverito. ''Il principio di precauzione accettato in ambito internazionale - sottolinea Accame - afferma che bisogna adottare misure di precauzione quando c'e' il 'rischio di pericolo' e non quando c'e' 'la certezza di pericolo'. Gli Stati Uniti hanno adottato il principio di precauzione in Somalia il 14 ottobre '93. I militari Usa operavano in tuta e maschere anche a 40 gradi all'ombra mentre i nostri militari operavano in canottiera e calzoncini corti''. ''Le misure di precauzione - prosegue Accame - sono state emanate per il nostro personale solo dopo il 22 novembre 1999 dalla Kfor in Bosnia. Dunque per sei anni - conclude - il personale e' stato in stato di ignoranza del pericolo dell'uranio impoverito ben conosciuto e visibile dagli Stati Uniti. Questa e', dunque, la responsabilita' che si ravvisa''.