lunedì 23 aprile 2007

Ancora un morto. E sono 46

E’ morto a soli 29 anni, stroncato da un melanoma che non gli ha lasciato il minimo scampo. E forse a causare quel male incurabile sono stati gli effetti dell’uranio impoverito, patologia non ufficialmente riconosciuta che ha colpito e ucciso decine e decine di reduci della guerra in Kosovo.
Giorgio Parlangeli, questo il nome del caporalmaggiore dell’Esercito originario di Carmiano, comune dell’hinterland leccese, è spirato nella notte tra mercoledì e giovedì nel Policlinico di Padova, dove si trovava da tempo ricoverato a causa della devastante malattia. Aveva 29 anni, come detto, ed aveva preso parte alla missione italiana di pace nella martoriata regione dell’ex Jugoslavia.

Poi il rientro in Italia, a svolgere la vita di sempre con indosso l’uniforme dell’Esercito ed i gradi di caporalmaggiore. La malattia ha bussato alla porta della famiglia Parlangeli un paio di anni addietro. E per Giorgio è iniziato il calvario, come lo è stato per tanti altri colleghi che come lui hanno portato aiuto alle popolazioni kossovare straziate dalla guerra. Se siano stati gli effetti dell’uranio impoverito a scatenare la devastante patologia nel giovane salentino è tutto da accertare.

Al momento questa ipotesi sembra essere scartata dagli organismi competenti, ma a lasciare spazio al dubbio sono le dichiarazioni rese ieri dalla senatrice dell’Italia dei valori Franca Rame. La parlamentare ha denunciato la scomparsa del giovane militare salentino, attribuendo le cause del decesso proprio agli effetti dell’uranio impoverito.

L’esponente politico dell’Italia dei valori ha ricordato, poi, che stessa sorte è toccata ad altri 45 colleghi di Giorgio Parlangeli, anche loro partiti per il kosovo con l’idea di portare la pace e tornati in Patria dove poi hanno trovato successivamente la morte. La senatrice Franca Rame ha avanzato la proposta di conferire a questi ragazzi un riconoscimento, come quello che il Capo dello stato ha predisposto per i lavoratori extracomunitari che muoiono nei cantieri per la mancanza di adeguate misure di sicurezza.

Ha inoltre denunciato la situazione che si è venuta a creare da quando l’Osservatorio ha portato all’evidenza i casi delle morti sospette, con i militari colpiti dalla patologia letteralmente “scaricati” dall’Esercito. Intanto una folla commossa ha preso parte l’altro pomeriggio ai funerali del caporalmaggiore salentino, che si sono svolti alla presenza dei familiari e delle autorità civili, militari e religiose nella chiesa matrice di Carmiano.

"RICONOSCERE LA CAUSA DI SERVIZIO AI MALATI"

Non è stato provato il nesso certo tra l'uranio impoverito e l'insorgere di tumori nei militari italiani impegnati all'estero, che potrebbero essersi ammalati anche per altri fattori, come lo stress operativo e le condizioni ambientali; tuttavia bisogna cercare di garantire la causa di servizio a questi soldati, affinché possano permettersi l'assistenza necessaria. Lo ha detto il capo di Stato dell'Esercito, il generaleFiliberto Cecchi.

«È stato fatto molto lavoro, ci sono state commissioni d'inchiesta - ha detto Cecchi, nella conferenza stampa che ha seguito la presentazione del Rapporto Esercito 2006 - per cercare un nesso tra l'uranio impoverito e le patologie, ma questo nesso non è stato trovato. Di sicuro noi abbiamo fornito tutta la collaborazione che ci è stata chiesta, abbiamo consegnato tutti i dati e le informazioni, non c'é stata alcuna reticenza: siamo i primi a voler chiarire, perché vogliamo che i nostri militari siano tutelati al massimo».

«Piuttosto - ha aggiunto - allargherei il discorso a fattori diversi dall'uranio, che hanno un loro peso quando ci si trova in missione: la situazione ambientale, lo stress emotivo e operativo. E non solo. Sono fattori sempre presenti e che, anche per questo, potrebbero avere conseguenze sulla salute dei militari anche più dell'uranio». Secondo il generale, «dobbiamo tenerne conto prima di tutto con la prevenzione - e noi facciamo di tutto, sia per quanto riguarda le vaccinazioni, la bonifica delle aree, l'equipaggiamento e il vestiario - ma anche per quanto riguarda il sostegno, le cure, l'assistenza dei nostri soldati nel momento in cui vengono colpiti da patologie. Dobbiamo cercare di garantire a questi soldati il riconoscimento di una causa di servizio in modo da poter dare l'assistenza che spetta a tutti quelli che subiscono menomazioni durante l'attività lavorativa».

«Sono lieta che il generale Cecchi voglia riconoscere ai soldati malati per esposizione all'uranio impoverito la “causa di servizio” nonostante, secondo quanto ha detto, non ci sono prove di un collegamento diretto tra l'insorgere della malattia e l'esposizione». Il commento della senatrice Lidia Menapace (Prc), presidente della commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito. «Comunque è proprio questo collegamento tra malattia e esposizione all'uranio che ci siamo impegnati a scoprire e rendere chiaro», ha aggiunto. «Confido che la commissione arrivi al più presto a un risultato e sono impegnata al suo raggiungimento con tutta l'urgenza che la situazione richiede».