sabato 2 febbraio 2008

LA LETTERA AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO

Al Presidente del Consiglio
dei Ministri
On. ROMANO PRODI

p.c. Alla Presidente della Commissione
Uranio Impoverito del Senato
Sen. LIDIA MENAPACE

e p.c. Ministeri della Difesa, degli Esteri
dell’Interno, del Tesoro, della Salute,
dell’Ambiente,


Sig. Presidente del Consiglio,

Le scrivo in relazione al problema riguardante le vittime da possibile contaminazione da uranio impoverito.
Forse ricorderà un intervento del sottoscritto in proposito, tenuto a Strasburgo nel 2001 (eravamo nella fase iniziale della vicenda), in cui raccomandai, dato che non si può escludere la pericolosità dell’uranio impoverito, di adottare il principio di precauzione. A questa tesi si oppose, come forse ricorderà, il Commissario Solana sostenendo la assoluta non pericolosità dell’uranio.
Tuttavia, che il pericolo esista trova conferma nel fatto che gli stessi USA, principali fabbricatori e utilizzatori di armi all’uranio impoverito, adottano norme di protezione. Queste misure furono implementate dagli USA già in Somalia nel 1993 (vedi allegato). E già nel 1984 l’Italia era stata avvertita dalla NATO della pericolosità dell’uranio, anche nel maneggio del metallo a freddo (vedi allegato).
L’Italia ha emanato, nell’ambito militare della Kfor delle norme, ma purtroppo con oltre sei anni di ritardo rispetto agli USA. Dette norme, infatti, risalgono al 22 novembre 1999 (vedi allegato). Anche queste norme indicano che non si può escludere la pericolosità nelle operazioni in zone dove è stato usato l’uranio impoverito e precisano che l’uranio può provocare tumori e malformazioni alla nascita.
Ma mentre i militari e il personale civile inviato dallo Stato o da organizzazioni di volontariato in zone colpite da armi all’uranio possono proteggersi – adottando le norme – gli abitanti delle zone colpite (all’estero – ma anche in Italia, ad esempio, in prossimità dei poligoni di tiro) non hanno modo di proteggersi. Per questo personale civile (ma il problema riguarda anche la fauna e l’ambiente), l’unica soluzione può essere quella della abolizione delle armi all’uranio impoverito. Recentemente (vedi allegato) 122 Paesi, tra cui l’Italia, si sono espressi per promuovere una maggior conoscenza sugli effetti dell’uranio.
In Italia, gli unici studi che sono stati compiuti (Commissione Mandelli) riguardano i militari in servizio, mentre non sono stati presi in considerazione i casi dei civili che hanno operato in vari modi, non solo alle dipendenze di Enti Governativi, ma anche come organizzazioni ONG nei teatri operativi all’estero (vedi allegato). Secondo l’ICS, 5.000 volontari cono stati inviati in zone contaminate. Vi sono casi di civili inviati all’estero dalla stessa Presidenza del Consiglio, come il Prof. Giovanni Caselli (vedi allegato), e il Capitano dei Servizi Segreti Antonio Caruso (vedi allegato), entrambi deceduti. Vi è personale inviato dal Ministero del Tesoro e della Economia (Guardia di Finanza), personale inviato dal Ministero dell’Interno (Agenti di Polizia, Vigili del Fuoco), personale del Ministero degli Esteri e da varie amministrazioni locali.
La problematica, nonostante tutto questo, è stata studiata in rapporto soltanto alla sfera militare in servizio, quindi in modo del tutto parziale, mentre, come sopra indicato, ha un non indifferente rilievo anche nella sfera civile. Peraltro la sfera civile include anche personale militare che ha lasciato il servizio (e che è stato del tutto trascurato nei conteggi del Ministero della Difesa). Tra questo personale vi è chi ha contratto un tumore in servizio, ma dati i tempi di latenza, il tumore è apparso quando il personale non era più in servizio (vedi allegato).
La problematica dell’uranio impoverito dovrebbe far capo alla Presidenza del Consiglio dato che sono coinvolti molti Ministeri e non solo quello della Difesa (un ruolo particolarmente importante, essendo affidato al Ministero della Salute). Purtroppo così non è stato, per cui si è avuta una visione assai riduttiva del fenomeno, una visione non rispondente alla realtà.
Inoltre, è praticamente mancato l’apporto dei Servizi Segreti (vedi allegato) per quanto concerne l’utilizzo delle armi all’uranio e pericoli connessi. Il problema si era evidenziato già nella Prima Guerra del Golfo del 1991, ma praticamente inesistenti sono state le informazioni ricevute, almeno per quanto è dato conoscere dall’ANAVAFAF. Non si hanno notizie anche sul fatto che in Italia, per i test sulle caratteristiche dei mezzi blindati di nostra costruzione, siano state impiegate armi all’uranio. E’ una questione che non può essere sfuggita ai Servizi e, in particolare, a quelli di Forza Armata (RIS).
Ad ogni buon conto, i dati che oggi emergono dopo che sono stati ordinati interventi della Polizia Giudiziaria nelle sedi dei Distretti Militari (però non sono solo i Distretti Militari a disporre di dati relativi ai casi di malattia) evidenziano una differenza siderale e imprevedibile rispetto ai dati che vennero presi in considerazione (sempre limitandosi all’ambito militare) dalla Commissione Mandelli (44 casi, mentre oggi si parla di oltre 1.000 casi – cioè 1.702 secondo il Ministro della Difesa e 1.991 secondo il GOI, Gruppo Operativo Interforze della Sanità Militare). Dunque una “realtà” certo preoccupante. Si tratta, peraltro, di un numero inferiore al vero perchè non tiene conto dei civili, dei militari in congedo, del personale che ha operato nei poligoni e del personale impiegato nelle operazioni svolte nel Golfo Persico e nella Somalia. Inoltre gli studi compiuti si limitano a considerare solo le patologie tumorali e non altre (vedi allegato).
L’ANAVAFAF ritiene che dovrebbe essere la Presidenza del Consiglio, finalmente, a considerarsi come punto di riferimento per lo studio complessivo del fenomeno, tenuto conto, come sopra detto, anche del coinvolgimento di civili, come pure di Corpi Armati dello Stato non dipendenti dal Ministero della Difesa (Guardia di Finanza, Polizia di Stato).
Finora, in modo del tutto errato, il fenomeno è stato analizzato tenendo conto solo di dati (relativi a morti e malattie) in possesso del Ministero della Difesa; nessun dato ufficiale è stato reso disponibile, per gli studi relativi al personale dipendente da altri Ministeri. E quindi l’opinione pubblica può avere solo una conoscenza falsa del problema. E’ necessario, quindi, che anche le altre Istituzioni, oltre quelle della Difesa, forniscano i dati in loro possesso a partire dalla stessa Presidenza del Consiglio e dai vari Ministeri interessati e che questi dati vengano presi in considerazione negli studi.
Colgo l’occasione per inviarLe copia di un dossier compilato dall’ANAVAFAF sui casi di morte e di malformazione alla nascita (quelli a nostra conoscenza) e che includono anche di (limitatissimi) casi di civili (malati e deceduti).
Il dossier tiene conto anche di casi di personale impiegato in zone che sono state finora completamente dimenticate, come quella relativa alla Prima Guerra del Golfo del 1991 e quella concernente le operazioni in Somalia del 1993.
Le allego altresì una lettera recentemente inviata al Ministro della Difesa, in cui si segnalano alcune problematiche inerenti alla materia.
Grato per quanto vorrà fare per un completo riesame della questione che, tra l’altro, riguarda anche gli aspetti degli indennizzi al personale (vedi allegato), non solo militare ma anche civile, un tema sul quale mi sono espresso in precedenti lettere alla Presidenza del Consiglio.


Falco Accame
Presidente Ana-Vafaf