Ho letto con attenzione il resoconto stenografico dell’Audizione della Dott.ssa Antonietta M. Gatti nella seduta della Commissione parlamentare di inchiesta sull'uranio del 27 marzo 2007. Se ho inteso bene, la dott.ssa Gatti nella sua esposizione ha accantonato la possibilità che alcune delle patologie di cui si discute, possano essere derivate dall’uranio impoverito e che invece, occorra concentrarsi sugli effetti delle nano particelle nelle quali non si riscontra la presenza di uranio impoverito. Mi pare che ciò coincida con quanto si legge in un articolo pubblicato sul quotidiano ‘La Stampa’ il 3 Agosto del 2004.
Se ho ben capito, la teoria della dott.ssa Gatti, (della quale ho avuto modo, in passato, di leggere ricerche in campo odontoiatrico, sempre attinenti alla questione delle “piccolissime particelle”), esamina le conseguenze dell’uranio “a caldo”, cioè quando un proiettile all’uranio impatta su una superficie solida, sviluppando temperature dell’ordine dei 3000 gradi e anche con effetti pirofori che danno luogo ad una “sublimazione” del materiale.
Nella teoria della dott.ssa Gatti, l’uranio viene inteso, per usare un termine sociologico, come il “mandante”, il quale resta occulto, mentre devolve l’azione ai “mandati” che sarebbero numerosi metalli, come lo stronzio ed altri. Dunque, sempre in relazione a questa metafora sociologica, l’uranio sarebbe una specie di “Totò Riina” che non compare mai nei delitti di mafia effettuati dai suoi “mandati”.
Infatti, la dott.ssa Gatti sostiene di non aver trovato traccia dell’uranio impoverito nei reperti da lei esaminati, ma sempre altri metalli. Il rapporto tra uranio impoverito e tumori quindi non esisterebbe. E per quanto riguarda il rapporto tra gli altri metalli e l’insorgere di tumori, malformazioni alla nascita, patologie neurologiche, ecc. non vi sarebbero prove ed il legame resterebbe di tipo probabilistico.
Ma il punto che mi preme mettere in evidenza è che la teoria della dott.ssa Gatti riguarda la pericolosità dell’uranio per così dire “a caldo”, anzi potremmo dire “a caldissimo”, visto le temperature che si sviluppano.
Ma quanto sopra non copre affatto la situazione di rischio presentata dall’uranio e specificamente ribadita in tutte le norme di protezione che dal 1984 sono state individuate. Infatti, se la teoria della dott.ssa Gatti si può prestare ad esaminare la pericolosità nella situazione di impatto di un proiettile contro un ostacolo, non si presta a valutare il pericolo “a freddo” nel caso di maneggio di proiettili all’uranio impoverito o, ad esempio, barre di compensazione degli impennaggi degli aerei.
Pensiamo, ad esempio, anche al maneggio di proiettili che si sono conficcati nel terreno, da parte di civili (spesso bambini) nelle località bombardate. Pensiamo al maneggio di proiettili nei depositi di munizioni, o al maneggio di residuati di proiettili in Italia e all’estero.
Mi preme menzionare il fatto che a proposito del maneggio di munizioni e dei pericoli relativi, vi è stata in passato una polemica che si è sviluppata nel deposito delle “Casermette” a Bibona presso Cecina. Gli artificieri che dovevano ripulire dei proiettili dalla ossidazione che si era verificata, chiesero un intervento della locale ASL perchè erano preoccupati per la loro salute.
Questa è, ad esempio, una situazione in cui la teoria della dott.ssa Gatti è inapplicabile perchè è una situazione di rischio “a freddo” e non “a caldo” e riguarda lo strato di ossidazione che si sviluppa sulla superficie del metallo. Qui non sono in gioco nè altri metalli nè “mandanti occulti”. Ma perchè una teoria possa ritenersi valida, deve poter essere applicabile in tutte le situazioni.
Desidero, infine, precisare che quelle che, almeno al sottoscritto, risultano essere le prime norme di protezione inviate all’Italia in ambito NATO, risalgono al 1984. E’ proprio in queste norme di protezione che si precisano i provvedimenti da adottare, di fronte ai pericoli dell’uranio impoverito, e che sono costituiti dall’uso di guanti, tute, maschere, occhiali.
Le norme del 1984 si riferiscono specificamente ai pericoli che presenta il maneggio delle barre di uranio che, come sopra accennato, vengono usate negli impennaggi degli aerei militari e di quelli civili. Uso che è stato , da qualche anno, proibito.
Può forse essere non inutile ricordare da che cosa nacque un primo allarme sulla pericolosità dell’uranio impoverito, dopo quello che era stato dato in Australia negli anni ’50. In Giappone si verificò che, al decollo, un aereo si schiantasse al suolo producendo un furioso incendio che risultava inspiegabile agli esperti. Dopo attenti studi si dedusse che questo incendio anomalo si era sviluppato per via dell’effetto piroforo delle barre all’uranio contenute nei timoni di direzione, quando si sviluppò l’incendio. Quanto avvenuto in Giappone si ripetè anche su scala minore in Italia, presso l’aeroporto della Malpensa. L’esito (all’italiana) fu il licenziamento del Vigile del Fuoco che aveva denunciato il fatto.
In conclusione, mi sembra che non ci si possa fondare sulla teoria della dott.ssa Gatti indipendentemente dal fatto che possa o meno dimostrare la pericolosità dell’uranio impoverito in quanto tiene conto solo della problematica a caldo e non di quella a freddo.
Mi pare anche che, pur nei limiti che riguardano la situazione a caldo, la teoria non porti ad affermare nè che l’uranio impoverito possa essere la causa dei tumori, e neppure il contrario come hanno cercato di sostenere coloro che attribuiscono ai vaccini e non all’uranio la causa delle patologie, dimenticandosi che queste patologie si sviluppano non solo all’estero al personale a cui sono state fatte particolari vaccinazioni, ma anche sul territorio nazionale per militari e anche per civili, come è apparso per esempio, in alcuni poligoni della Sardegna e nelle zone adiacenti.
Si ritiene, perciò necessario, un maggior approfondimento sulla questione anche nell’ambito della stessa commissione di indagine e negli appropriati organi competenti nel campo scientifico.
Falco Accame