BARI - Le misure di protezione per i militari italiani esposti alle radiazioni dell'uranio impoverito 'avrebbero potuto e dovuto essere adottate ben prima della loro emanazione da parte del comando italiano della Folgore l'8 maggio 2000, ed anche prima della emanazione, il 22 novembre 1999, di norme per i reparti operanti nei Balcani'.
Lo sostiene in un esposto inviato alla procura di Bari Falco Accame, presidente dell'Ana-Vafaf, l'associazione che assiste i familiari delle vittime arruolate dalle Forze armate.
Riferendosi all'inchiesta della procura di Bari su casi di leucemie e tumori (anche mortali) contratti da numerosi militari italiani che hanno operato in Bosnia e Kosovo durante la guerra nei Balcani (nel periodo 1993-1999), Accame spiega che, anche in campo militare, come ha gia' sancito la Corte Costituzionale, andava e va applicata la normativa italiana antinfortunistica prevista dalle legge 626 del 1994, oltre alla legge 230 del 1995 sulla radioprotezione.
'Il regolamento di disciplina - dice riferendosi alla 626 - impone ai comandanti di adottare tutte le misure di protezione possibili per i propri dipendenti'.
Nell'esposto, che si compone di numerosi allegati, Accame invita anche il pm inquirente, Ciro Angelillis, ad esaminare attentamente le disposizioni Nato del 1984, quelle Usa messe in atto in Somalia nel '93, le disposizioni di Saceur del '96, le norme Nato del primo luglio 1999.