venerdì 27 aprile 2007

L'uranio impoverito e i falsi problemi

Tutte le discussioni degli ultimi anni sul tema, sempre molto caldo, dell'uranio impoverito (54 morti e diverse centinaia di feriti secondo l'Anavafaf) hanno ruotato intorno al quesito se la sostanza sia o no dannosa, e se esista un nesso di causalità tra l'esposizione a quest'ultima e le morti dei nostri militari.

Occorre poi dire, tra l'altro, che chi ha escluso tale causalità, la Commissione Mandelli, lo ha fatto partendo da un gravissimo ed evidentissimo errore statistico, conteggiando i morti su un campione di oltre 45.000 soldati, anziché sui 4.000 che periodicamente frequentano le missioni in teatri interessati da bombardamenti, così come ricordato dall'archeologo 42enne impegnato in Kosovo, Fabio Maniscalco, oggi alle prese con una “strana” e prematura forma di tumore allo stomaco.

Accertare che l'uranio impoverito sia o no dannoso per la salute è un compito che spetta essenzialmente al mondo scientifico, non certo ad una commissione parlamentare di inchiesta operante tra mille stenti sulla scia del fallimento di quella precedente. In ben altre direzioni dovrebbe svilupparsi l'indagine dei senatori guidati da Lidia Menapace, come ad esempio l'accertamento delle responsabilità di chi ha emanato le misure di protezione con notevole ritardo, e di chi non le ha fatte adottare una volta emanate.

Il punto essenziale della questione è rappresentato dal fatto che, come ricorda spesso Falco Accame, finché non ci sarà qualcuno in grado di affermare con certezza che la sostanza non sia dannosa, deve valere il sacrosanto principio di precauzione. Ragione per la quale altri contingenti, come quello americano, hanno protetto i loro soldati già a partire dal 1993, in seguito alla spiacevole esperienza e ai campanelli d'allarme della Guerra del Golfo.

Di tutto ciò sembra essersi accorta la Procura di Bari, che sta indagando per verificare se ci siano state delle violazioni in relazione alla normativa anti infortunistica da parte degli organismi della Difesa italiana. Bene ha fatto il Gip Chiara Civitano a non archiviare l'inchiesta, e ad incaricare il pm Ciro Angelillis di acquisire documenti e testimonianze in questa direzione. Documenti che non tarderanno a giungere agli atti dell'unica iniziativa giudiziaria sulla "vicenda uranio", che rappresenta oggi una tra le poche occasioni per fare giustizia dopo tanti anni.

Francesco PALESE