venerdì 30 maggio 2008

SINDROME BALCANI; UIL PUGLIA, NO AD ARCHIVIAZIONE INCHIESTA BARI

E' 'fortemente criticabile' l'atto suppletivo d'indagine svolto dalla procura di Bari, a seguito del quale, la pubblica accusa ha nuovamente chiesto al gip di archiviare l'inchiesta su militari italiani in missione in Bosnia e Kosovo durante la guerra nei Balcani (1993-1999), e che si sono ammalati e, in alcuni casi, morti dopo essere stati esposti alle radiazioni dell'uranio impoverito.

Lo sostengono la Uil Puglia e la Ital Uil opponendosi all'archiviazione. I sindacati criticano la 'richiesta di chiarimenti' che la procura ha ottenuto dal ministero della Difesa sulle misure di prevenzione che furono adottate per proteggere i militari italiani dalle radiazioni. Secondo i sindacati, chiedere l'archiviazione in base alla risposta fornita della Difesa e' come accogliere tesi che 'sarebbero facilmente respinte in qualunque altro procedimento relativo ad infortuni sul lavoro'.

Per questo la Uil e la Ital Uil chiedono al gip di respingere la richiesta di archiviazione e di ordinare al pm Ciro Angelillis di indagare i ministri della Difesa e i capi di stato maggiore della Difesa italiani in carica dal 1993 al 2001 per colpa nella morte dei militari Andrea Antonaci, Corrado Di Giacobbe e Alberto Di Raimondo.

giovedì 29 maggio 2008

ALTRI TRE CASI DI AMMALATI IN SARDEGNA. RICOSTITUIRE AL PIU’ PRESTO LA COMMISSIONE D'INCHIESTA

Altri tre casi di malati in Sardegna. Tre carabinieri, due in provincia di Sassari e uno in provincia di Nuoro. Ovviamente per motivi di privacy non si fanno i nomi che comunque si inviano in busta chiusa al Presidente del Consiglio affinchè possano essere svolte le azioni di verifica conseguenti. E’ motivo di preoccupazione che tutti i casi di cui si è venuti a conoscenza sono dovuti a un passa parola, mentre ovviamente la grande maggioranza di questi casi (almeno per quanto riguarda i militari) deve risultare ai Comandi militari (malati messi nella “forza assente”) alle infermerie e ospedali militari ai quali sono ricorsi per assistenza medica.

Una cappa di segreto copre l’intera vicenda. Ne deriva una enorme incertezza circa la entità dei malati. Infatti, in pochi anni si è passati dai 28 casi della Commissione Mandelli, a circa 2.000, trascurando peraltro i casi verificatisi nella Guerra del Golfo (1991), in Somalia (1993), nei poligoni e depositi in Italia. In simili condizioni qualsiasi valutazione statistica è priva di significato. E’ da segnalare che nella scorsa legislatura, la Commissione di Inchiesta del Senato ha chiesto alla Polizia Giudiziaria di indagare sui casi che risultano nei Distretti, una operazione comunque che richiede tempi lunghi, ma di cui, ad oggi, non sono stati resi noti neppure i risultati parziali.

E’ perciò necessario che al più presto venga ripresa questa verifica ricostituendo la Commissione Parlamentare, possibilmente in forma bi-laterale. Da notare in particolare che nulla è stato fatto finora per quanto riguarda i casi di malattia e morte di civili, quasi che la questione dell’uranio riguardi solo i militari, mentre all’opposto, riguarda principalmente i civili che hanno subito un impatto di gran lunga maggiore.

Falco Accame

Presidente ANAVAFAF

sabato 24 maggio 2008

Nuovo caso di possibile contaminazione a Napoli

E' un civile, assistente tecnico di 55 anni, operante nel "Polo di mantenimento pesante sud" di Nola, un' area industriale del Ministero della Difesa, in provincia di Napoli, l'ultimo caso di possibile contaminazione a causa dell'uranio impoverito.

L'uomo combatte contro la "Malattia di Basedow", una forma di ipertiroidismo, diagnosticata in seguito a tre missioni in Bosnia e Kosovo, dal 1999 al 2001. In questi teatri, l'uomo che è di Scisciano, in provincia di Napoli, ha operato in qualità di collaudatore di mezzi corazzati ed è ora in attesa del riconoscimento della causa di servizio per la malattia contratta.

Ma non solo, nello stabilimento dove tuttora l'uomo lavora vengono riparati veicoli corazzati provenienti dai diversi teatri di guerra, e alcune segnalazioni ci dicono che le polveri contenute nei filtridei motori e dei sistemi NBC (Nucleari, Batteriologici,Chimici) non vengono trattate e sono quindi a contatto con i lavoratori. Nelle stesse condizioni dell'uomo ci sono infatti altre persone. (Francesco Palese)

venerdì 16 maggio 2008

URANIO: 200.000 EURO DI SPECIALE ELARGIZIONE AI PARENTI DELLE VITTIME

Finalmente dopo anni di proteste un implicito riconoscimento per la mancata protezione dei nostri militari che per lunghi anni hanno sono stati impiegati all’estero e in Italia senza misure di protezione. La speciale elargizione è stata concepita già nel 1977 (Proposta di Legge 11 febbraio 77) allora fissata in 50 milioni di vecchie lire (attualmente 25.000) e in seguito sancita con la Legge 308/81. Ma mai adeguata in relazione al deprezzamento della moneta.

Solo nel caso delle vittime di Nassiriya colpite dalla esplosione di una autobomba, la speciale elargizione è stata portata con una speciale “leggina” a 200.000 euro. Ora finalmente la speciale elargizione viene portata per tutte le vittime del dovere a 200.000 euro, ad esempio nei casi della morte di Valery Melis e Fabio Porru, in Sardegna, era stato applicato, anziché la Legge 308/81, il Decreto Presidenziale 243/2007 per cui ai genitori di detti militari era stata concessa una pensione di 258 euro al mese (che aveva destato un forte risentimento).

Ora si tratta di conoscere gli elenchi delle vittime. Su tali elenchi regna però la massima incertezza. L’Anavafaf in un elenco di vittime, a partire dalla guerra del Golfo del 91, poi della Somalia, poi della Bosnia/Kossovo, dei poligoni e depositi, ha enumerato 50 casi di decesso e ha reso noti i nomi su Internet. Ma la cifra è certamente inferiore alla realtà. Recentemente il Ministro della Difesa ha parlato di 77 casi di morte ma secondo altre fonti sarebbero all’incirca 150, mentre il numero dei malati oscilla tra alcune centinaia e circa 2000.

Da tener presente però che la speciale elargizione prevista dalla Legge 308/81 deve valere per tutte le vittime del dovere, vuoi coloro che hann subito una contaminazione da uranio impoverito vuoi coloro che sono stati colpiti da un’autobomba, vuoi coloro che hanno subito uno scontro a fuoco con la criminalità vuoi coloro che sono stati vittime di un ribaltamento di un mezzo blindato o di un carro armato. Guai se introduciamo singole categorie più o meno privilegiate e vittime del dovere di serie A, B, C, o Z.

Assistenza legale vittime
STUDIO LEGALE
Bruno Ciarmoli
Per informazioni:
080/52.47.542

FORSE AL PM DI BARI NON E’ STATO DETTO TUTTO

Che non si possa provare per i tumori il nesso di CERTEZZA tra uranio e tumori, è cosa risaputa da sempre, ma è altrettanto noto, almeno da quando sono morti entrambi i coniugi Curie, che non si può escludere il nesso tra uranio e tumori. E se non lo si può escludere deve essere applicato il principio di precauzione.

Circa i pericoli dell’uranio impoverito e le norme da adottare, anche nel maneggio a freddo (come è stato il caso delle bombe gettate in Adriatico), ce lo ha comunicato la NATO fin dal 1984. Che il pericolo ci sia ce lo hanno confermato, subito dopo la Guerra del Golfo, i casi di tumore e malformazione alla nascita verificatisi tra i reduci USA della Guerra del Golfo, Ce lo ha ricordato anche un filmato del 1995 girato dal regista D’Onofrio tra i reduci degli Stati Uniti, un film presentato anche alla Mostra di Venezia e quindi ben noto.

Il fatto che la prima “direttiva tecnico-operativa” del Ministero risalga al 1999 non può certo costituire una giustificazione per la ritardata emanazione di norme, è anzi un fatto assai grave in quanto questa direttiva viene sei anni dopo da quando, icto oculi, il nostro personale in Somalia ha visto i militari USA, con cui cooperavano (dalla data del 14 ottobre 1993), operare con tuta, guanti, maschere, anche con 40°C all’ombra, mentre i nostri operavano in calzoncini corti e canottiera.

E’ sperabile che il PM abbia indagato sul perchè queste disposizioni siano state emanate con sei anni di ritardo rispetto a quanto avevano fatto gli USA. Ma anche con ritardo rispetto alle stesse norme emanate dalla KFOR, la Forza Multilaterale nei Balcani il 22 novembre 1999.

Infatti la KFOR il 22 novembre 1999 aveva emanato le norme di protezione a firma del Col. Osvaldo Bizzari. Nelle norme si precisava che l’uranio può produrre tumori e malformazioni alla nascita. Assai preoccupante il fatto che i comandanti in Somalia non abbiano ricevuto spiegazioni dal Comando USA e così non abbiano saputo nulla neppure i Servizi di Informazione massicciamente impiegati in Somalia. Tra l’altro, dei Servizi di Informazione fanno parte i SIOS (Servizio Informazioni, Operazioni e Situazioni) di Forza Armata, che hanno come compito prioritario quello di raccogliere informazioni sulle armi impiegate.

A parte la normativa del 1984, era in vigore la normativa italiana per la radioprotezione del 1995, la legge 230 di cui occorreva tenere il debito conto. Inoltre esisteva la normativa NATO del 1996 per le basse radiazioni (e quelle dell’uranio sono, appunto, basse radiazioni!). Inoltre, nel 1995 si era tenuta a Bagnoli (Napoli) presso il Comando del Sud Mediterraneo, una conferenza riportata da tutta la stampa italiana, in cui venivano illustrati i bombardamenti effettuati nei Balcani con aerei A10 capaci di impiegare proiettili all’uranio impoverito. E’ semplicemente incomprensibile, quindi, come solo nel 1999 possano essere state emanate direttive in merito all’uranio impoverito.
Sul fatto che si doveva applicare il principio di precauzione, si è espressa, in modo inequivocabile, la Commissione di Inchiesta sull’uranio impoverito del Senato, a firma della Sen. Lidia Menapace, nella relazione finale della Commissione stessa (reperibile su Internet).

Una grave inesattezza sembra, inoltre, almeno dagli atti che si conoscono, sia stata comunicata al PM con l’affermazione he i nostri Reparti NBC hanno effettuato ogni sorta di verifica in Bosnia e Kossovo sulla presenza di uranio impoverito e con la partecipazione del CISAM, impiegando tra l’altro, sofisticatissime metodiche di laboratorio e concludendo che non vi erano rischi.

Peccato che, probabilmente, non hanno tenuto conto di quanto ha riferito il rappresentante stesso del CISAM, Dott. Di Benedetti, nella sua audizione presso la Commissione di Inchiesta del Senato (reperibile su Internet). Infatti, il Dott. Di Benedetti, si è scusato con la Commissione per il fatto che per vari motivi interni, non fu rilevata la presenza di armi all’uranio impoverito nei Balcani e ciò nonostante che fossero stati, in quell’area, lanciati oltre 40.000 proiettili (10.000 in Bosnia e 30.000 in Kossovo) secondo la NATO (ma forse anche molti di più nella realtà) e non prendendo in considerazione i missili da crociera che contengono barre da uranio impoverito da 300 Kg. (i proiettili contengono solo qualche decina di grammi di uranio impoverito). Il Dott. Di Benedetti precisò che, purtroppo, lo strumento di misura utilizzato, RA141-B, poteva esplorare fasce praticamente inesistenti (di larghezza 10 cm).Questa fu certamente una delle ragioni per cui la Difesa ritenne, erratamente, che i nostri militari non correvano alcun rischio da uranio impoverito nei Balcani.

Così è accaduto, come hanno raccontato vari reduci, che, mentre i militari USA nei Balcani lavavano ogni sera le tute, i nostri semplicemente “le spazzolavano” risollevando così la polvere di uranio che vi si era depositata. La risposta alle domande fatte dai nostri militari è stata, in genere, del tipo “gli americani lo fanno perchè sono ‘fanatici’”.

Si afferma nella documentazione di cui si è a conoscenza, inviata al PM, che gli Stati Uniti nel maggio 1999 hanno fatto sapere di aver fatto uso di armi all’uranio impoverito. Tutto ciò a prescindere dal fatto che già nel 1993, evidentemente (icto oculi) avevano adottato le misure di protezione. Comunque dal maggio 1999 al dicembre 1999 sono passati oltre sette mesi. E per dotare i nostri reparti delle misure di protezione (guanti, maschere, tute, ecc.) credo sarebbero bastate poche settimane. Infatti, anche nella deprecata ipotesi che l’Italia non sia in grado di disporre sul mercato guanti, maschere e tute, bastava chiederle agli Stati Uniti che, sicuramente, ne hanno dotazioni rilevantissime nei grandi depositi in Italia, come ad esempio, Camp Darby presso Livorno. E probabilmente sarebbe bastato inviare alcuni camion a Livorno per avere, nel giro di qualche giorno, in Bosnia e Kossovo il materiale. C’è quindi da augurarsi che siano stati fatti accertamenti sul perchè sono occorsi oltre sette mesi.

Riassumendo alcune questioni di fondo, possiamo notare che:

1) la pericolosità dell’uranio impoverito, anche per quanto riguarda il maneggio a freddo delle armi (cioè armi non esplose, in quanto non hanno urtato contro una superficie rigida, così come le bombe cadute in Atlantico) era già nota dal 1984 nelle norme inviate all’Italia dalla NATO. Peraltro, una vastissima letteratura sulla pericolosità dell’uranio impoverito è già esistita almeno dai primi anni ’90. Va tenuto presente, in merito, che i primi esperimenti sulla pericolosità dell’uranio impoverito, furono fatti in Australia addirittura negli anni ’50;
2) la stessa Commissione Mandelli nella sua III e ultima relazione, ha messo in risalto i pericoli specie per i linfomi di Hodgkin e il Prof. Mandelli, in un articolo sulla rivista ‘Epidemiologia e Prevenzione’ del 2001, ha chiaramente affermato che non si poteva escludere che l’uranio impoverito ne fosse stato causa di tali linfomi;
3) sono state fornite false e superficiali risposte a militari italiani che hanno chiesto spiegazioni anche dopo la emanazione delle norme del novembre (KFOR) e del dicembre 1999, circa il fatto che non venivano adottate norme di protezione;
4) i pericoli dell’uranio riguardano, non solo zone colpite all’estero, dove hanno operato i nostri militari (ma non dimentichiamolo, vi hanno operato anche i civili, molti dei quali si sono ammalati), ma anche zone in Italia come ad esempio i depositi di materiali dove si è accumulato, appunto, materiale tornato dall’estero e non decontaminato, come invece prevedevano le norme USA del 1984 (si tratta di vestiario, automezzi, mezzi blindati, etc.);
5) non si sa se siano stati fatti eseguire accertamenti circa questo materiale che si è venuto a trovare nei depositi italiani;
6) quanto al fatto che si manifestino dubbi sulla pericolosità dell’uranio, questa pericolosità è stata assolutamente confermata (purtroppo molto tardivamente), ad esempio, dalle norme stesse emanate dallo Stato Maggiore (e in particolare dalle disposizioni emanate dall’allora Sottocapo di Stato Maggiore Gen. Ottogalli). Secondo queste disposizioni occorreva, addirittura, conservare proiettili che erano stati reperiti sul campo in appositi armadi metallici di sicurezza dai quali, comunque, era opportuno rimanere a debita distanza.

Vi sono dunque gravi responsabilità nel non aver tempestivamente informato il personale dei pericoli (almeno dal 1993, da quando cioè abbiamo collaborato con gli USA in Somalia), e non aver tempestivamente e rigorosamente applicato le misure di protezione.

Non sembra che vi possano essere prescrizioni in merito a queste responsabilità.


Falco Accame
Presidente ANAVAFAF

martedì 13 maggio 2008

URANIO: ACCAME, ANCHE NORME RIFERITE DA PM BARI NON FURONO APPLICATE

“Anche le stesse norme cui fa riferimento il Pm di Bari Ciro Angelillis furono inapplicate in molti casi". Lo afferma Falco Accame, ex Presidente della Commissione Difesa e presidente dell’Anavafaf, un’associazione di tutela delle vittime per presunta contaminazione da uranio impoverito, commentando gli sviluppi dell’inchiesta della Procura di Bari.

“Del resto l’ ultima Relazione Mandelli – secondo Accame - indicava la necessità di verifiche e lo stesso Mandelli scrisse sulla rivista “Epidemilogia e prevenzione” che non si poteva escludere che i linfomi di Hodgkin fossero stati causati dall’uranio e quando non si può escludere un pericolo occorre adottare le norme di protezione”.

“Il principio di precauzione - secondo l’ex parlamentare - andava adottato già in Somalia nel 1993, dove nostri reparti hanno operato fianco a fianco ai reparti USA che dal 14 ottobre 1993 avevano adottato le misure di protezione (tute, guanti, maschere) anche a 40 gradi all’ombra mentre i “nostri ragazzi” operavano in calzoncini corti e canottiere.

“E’ quindi impossibile - continua - che i nostri comandi non sapessero che vi erano rischi. Del resto già nel 1984 l’Italia era stata informata dalla Nato dei rischi dell’uranio impoverito. La Nato emanò misure di protezione per basse radiazioni (come quelle dell’uranio) dal 1996, in Italia esiste dal 1995 la legge per la radio-protezione”.

“Ma non basta, Accame ricorda che “molti reduci italiani hanno affermato che neppure dopo l’emanazione delle norme di protezione da parte della Kfor nei Balcani, il 22 novembre 1999, dove si evidenziavano i pericoli di tumori e malformazioni alla nascita, queste norme sono state messe in atto”.

“Su questo - insiste Accame -vi sono dichiarazioni inviate anche alla commissione di inchiesta sull’uranio. A parte tutto questo dal maggio 1999 (data di una comunicazione ufficiale degli Usa) al dicembre 1999 sono passati sette mesi e per dotare i nostri reparti allora operanti nei Balcani sarebbero bastate un paio di settimane essendo tutti materiali disponibili nei depositi Usa”.

URANIO:PM BARI,NESSUNA COLPA. FU SEGUITA DIRETTIVA PENTAGONO

BARI, 13 MAG - Dagli atti dell'indagine sui militari italiani che furono in missione in Bosnia e Kosovo durante la guerra nei Balcani (1993-1999), e che si sono ammalati e, in alcuni casi, morti dopo essere stati esposti alle radiazioni dell'uranio impoverito, emerge 'la insussistenza di fattispecie colpose sotto il profilo della omissione della comunicazione e della precauzione' da parte del ministero della Difesa italiano.

Lo scrive il pm del tribunale di Bari Ciro Angelillis, nella richiesta di archiviazione dell'inchiesta avviata per verificare il rispetto della normativa antinfortunistica del '91.Il magistrato basa la sua conclusione sul fatto che 'il primo avvertimento sulla pericolosita' dell'uranio da parte del Pentagono e' del luglio 1999' e 'la prima direttiva del governo italiano del dicembre 1999'.

Quindi, e' il ragionamento della pubblica accusa, il governo italiano si e' adeguato alla direttiva del ministero della Difesa statunitense. Inoltre - scrive Angelillis - se 'la prima direttiva tecnico-operativa del ministero risale al dicembre 1999 (...), e' evidente che le omissioni non potevano che essere di data precedente e che trattandosi di reati contravvenzionali prescrivibili al massimo in tre anni, nella migliore ipotesi accusatoria, il reato sarebbe prescritto a partire dal novembre/dicembre 2002'.

Nell'atto il pm cita anche la missiva inviata, su richiesta della procura di Bari, dal ministero della Difesa italiano il 30 novembre 2007. Nella lettera il capo di gabinetto del ministero, gen.Biagio Abrate, allega una relazione dalla quale emerge che, 'pur esistendo fin dagli anni precedenti il 1999 una copiosa e complessa documentazione di origine Nato sui rischi Nbcr (nuclerare, batteriologico, chimico e radiologico), essa era di natura dottrinale e generica, non riferita a particolari territori, mentre l'unica comunicazione di fonte alleata sull'impiego di munizionamento all'uranio impoverito, per il Kosovo, e' stata resa dagli Stati Uniti nel maggio 1999 (il pm scrive invece luglio '99, ndr), con conseguente adozione sia da parte Nato che dell'Italia delle misure necessarie a protezione del personale impiegato in missione'.

Per quanto riguarda la Bosnia - scrive Abrate - la notizia sull'uso dell'uranio impoverito 'pervenne in data 21 dicembre 2000'. Anche in base a questa relazione, Angelillis ha ritenuto che 'non vi sia davvero spazio per ulteriori attivita' di indagine'.Prima di indagare sulle misure antinfortunistiche, Angelillis aveva chiesto l'anno scorso al gip l'archiviazione dell'indagine, nella quale vengono ipotizzati i reati di lesioni e omicidi colposi.

Il pm ritenne mancante il nesso di causalita' tra l'utilizzazione di munizioni all'uranio impoverito (da parte di Usa e Gran Bretagna) e l'insorgenza delle malattie nei militari. Il gip, nell'aprile 2007, rigetto' la richiesta di archiviazione ordinando al pm di verificare se non fossero stati violati obblighi informativi e precauzionali da parte dei responsabili del ministero della Difesa.

lunedì 12 maggio 2008

URANIO: SINDROME BALCANI; PM BARI CHIEDE NUOVA ARCHIVIAZIONE

BARI, 12 MAG - La procura di Bari ha nuovamente chiesto l'archiviazione dell'indagine sui militari italiani in missione nei Balcani ammalatisi e, in alcuni casi, morti dopo essere stati esposti alle radiazioni dell'uranio impoverito.

La richiesta di archiviazione e' firmata dal pm inquirente, Ciro Angelillis, che aveva in corso un supplemento di indagine per verificare il rispetto della normativa antinfortunistica del '91 in relazione a casi di leucemie e tumori contratti da numerosi militari italiani che hanno operato in Bosnia e Kosovo durante la guerra nei Balcani (nel periodo 1993-1999).

Prima di procedere al supplemento di indagine, Angelillis aveva chiesto al gip l'archiviazione del fascicolo nel quale vengono ipotizzati i reati di lesioni e omicidi colposi. Il pm ritenne mancante il nesso di causalita' tra l'utilizzazione di munizioni all'uranio impoverito (da parte di Usa e Gran Bretagna) e l'insorgenza delle malattie nei militari.

Alla richiesta di archiviazione si opposero i sindacati Uil e Ital Uil Puglia. Nell'aprile 2007, il giudice Chiara Civitano respinse la richiesta ordinando al pm di compiere, entro 90 giorni, nuove indagini relativamente alla verifica delle misure antinfortunistiche. Le nuove indagini compiute hanno indotto Angelillis a sostenere che anche in questa vicenda non vi sono reati contestabili.

Nella prima richiesta di archiviazione il pm Angelillis motivava la sua decisione anche in base ai risultati a cui era giunta la commissione presieduta dal prof.Franco Mandelli (l'ematologo che ha coordinato un gruppo di ricerca istituito dal ministro della Difesa) che nel 2002 'assolse' i proiettili all'uranio impoverito.Quella parte dell'inchiesta riguardava anche la presunta presenza di proiettili e bombe all'uranio impoverito in terra di Bari e nel Basso Adriatico e le eventuali conseguenze sull'ambiente.

L'indagine fu avviata negli anni scorsi dopo il deposito di un esposto firmato dall'allora deputato dei Verdi Vito Leccese, all'epoca dei fatti vicepresidente della commissione esteri alla Camera.Leccese chiese ai magistrati penali e militari di Bari (anche questi ultimi avviarono un'inchiesta conoscitiva) di compiere accertamenti sul rilascio in mare, per motivi di sicurezza, di proiettili e bombe all'uranio impoverito dagli aerei che tornavano, dopo le missioni di guerra nei Balcani, nelle basi militari pugliesi.

Aveva chiesto, inoltre, di verificare se nei due aeroporti militari di Gioia del Colle (Bari) e Amendola (Foggia) fossero stati custoditi proiettili all'uranio impoverito.Nel corso delle indagini la magistratura avrebbe stabilito che effettivamente proiettili all'uranio impoverito sarebbero stati caricati sui 22 aerei A-10 americani, decollati dalla base di Gioia del Colle, durante il conflitto in Kosovo.

mercoledì 7 maggio 2008

URANIO: PRONTO IL RICORSO ALLA CORTE DI STRASBURGO

CASSATO IL PRINCIPIO DI PRECAUZIONE, I DATI VANNO CONTEGGIATI DAL 1991

Roma, 6 mag. - (Adnkronos) - "Le norme di protezione che al personale italiano sono state rese note solo nel 1999, testimoniano per la loro stessa esistenza che non si puo' escludere il rischio da contaminazione da uranio impoverito". Lo afferma Falco Accame, presidente dell'Associazione Nazionale di assistemza alle vittime delle Forze Armate, annunciando un ricorso alla Corte di Strasburgo."

Il principio di precauzione stabilisce che occorre adottare misure precauzionali in tutte le situazioni in cui non si puo' escludere che vi sia un rischio. Non e' appropriato quindi ritenere che vi debba essere la certezza di un pericolo. Del resto anche il prof. Mandelli, autore della ben nota relazione, ha scritto sulla rivista 'Epidemiologia e prevenzione' che non si puo' escludere che l'uranio impoverito sia la causa dei linfomi di Hodgkin. Le norme di protezione -aggiunge Accame- dovevano essere emanate fin da quando, dopo la guerra del Golfo, ci si e' resi conto in modo indubitabile del rischio".

Il presidente dell'Anavavaf ricorda inoltre che "l'Italia peraltro era in possesso delle norme di protezione fin dal 1984, data in cui vennero trasmesse all'Italia dalla Nato. Nell'elenco di casi di morte compilato dalla Anavavaf, e reso disponibile su Internet, si possono reperire i dati anteriori al 1996 a conoscenza della stessa Anavafaf che sono ovviamente solo una piccola parte dei casi verificatisi."

lunedì 5 maggio 2008

CASSAZIONE: MORTI URANIO, NIENTE PROCESSO ALLA DIFESA

ARCHIVIATE ACCUSE A MINISTERO, NON E' PROVATO IL NESSO LEUCEMIA-BOSNIA

- ROMA, 5 MAG - Non ci sara' - almeno per ora - alcun processo ai vertici del Ministero della Difesa in relazione alla morte, a seguito di tumori, di militari italiani impegnati in missioni di pace all'estero durante le quali sarebbero entrati in contatto con l'uranio impoverito. Lo ha stabilito la Cassazione che ha confermato l'archiviazione della denuncia dei familiari di Salvatore Vacca (23 anni) - il caporalmaggiore del 151/mo Reggimento della Brigata Sassari morto nel settembre 1999 per leucemia acuta, dopo 150 giorni dal rientro dalla Bosnia - presentata alla Procura di Cagliari. Il Gip, il 26 settembre 2005, aveva archiviato il fascicolo per omicidio colposo aperto contro ignoti. Nell'ordinanza che metteva fine all'inchiesta si escludeva che ci fossero gli estremi per sostenere la responsabilita' per ''condotta colposa omissiva impropria'' dei vertici dell'Amministrazione militare. In particolare, la Cassazione - con la sentenza 17693 della Quarta sezione penale - ha dichiarato ''inammissibile'' il ricorso presentato dai parenti del caporalmaggiore di Naxis (Cagliari) contro l'archiviazione. I supremi giudici hanno infatti ritenuto corretto il provvedimento del Gip che evidenziava come ''le incertezze emerse sia sul piano fattuale che sotto il profilo epidemiologico, in ordine alla possibilita' di individuare un nesso causale prevalente ed esclusivo tra la contaminazione da uranio impoverito ed il decesso di Salvatore Vacca, impediscono di sostenere che la condotta colposa omissiva impropria dei rappresentanti di vertice dell'Amministrazione militare e del Ministero della Difesa abbia potuto avere una efficacia condizionante nella produzione della morte del militare''. Senza successo, dunque, i familiari del giovane hanno sostenuto - davanti ai magistrati di Piazza Cavour - che l'archiviazione era ''abnorme'' perche' aveva ''un contenuto assolutorio adottato da un giudice, come il Gip, che non ha alcun potere in tal senso, dovendosi solo occupare della fondatezza della notizia di reato''. Ma la Cassazione ha risposto che l'operato del Gip e' corretto perche' ''non ha fatto altro che prendere atto della impossibilita' di accertare la sussistenza dell'elemento oggettivo del reato ipotizzato dai denuncianti, sulla base delle attivita' investigative, peraltro approfondite ed agevolate dalla collaborazione dell'amministrazione militare, e confortate dai risultati delle analisi sui reperti biologici''. Ad ogni modo le indagini per la morte dei militari (quattro solo in Sardegna) - sottolinea la Suprema Corte - si possono riaprire ''in qualsiasi momento su richiesta del Pm, sollecitato anche dai familiari delle vittime''.

''Era preciso dovere dei militari adottare misure di precauzione''. Lo afferma Falco Accame, presidente dell'Anavafaf, un'associazione che assiste i familiari delle vittime arruolate nelle Forze armate, sottolineando di ''non condividere'' la decisione della Cassazione che ha di fatto escluso di poter procedere contro il ministero della Difesa per omicidio colposo in relazione ai militari morti per presunta contaminazione da uranio impoverito. ''Il principio di precauzione accettato in ambito internazionale - sottolinea Accame - afferma che bisogna adottare misure di precauzione quando c'e' il 'rischio di pericolo' e non quando c'e' 'la certezza di pericolo'. Gli Stati Uniti hanno adottato il principio di precauzione in Somalia il 14 ottobre '93. I militari Usa operavano in tuta e maschere anche a 40 gradi all'ombra mentre i nostri militari operavano in canottiera e calzoncini corti''. ''Le misure di precauzione - prosegue Accame - sono state emanate per il nostro personale solo dopo il 22 novembre 1999 dalla Kfor in Bosnia. Dunque per sei anni - conclude - il personale e' stato in stato di ignoranza del pericolo dell'uranio impoverito ben conosciuto e visibile dagli Stati Uniti. Questa e', dunque, la responsabilita' che si ravvisa''.