mercoledì 20 gennaio 2010

TERZA CONDANNA ALLA DIFESA. DOVRA' RISARCIRE I FAMILIARI DI SALVATORE VACCA

Apprendiamo con soddisfazione la notizia della nuova condanna (la terza, in poco più di un anno) in sede civile inflitta al Ministero della Difesa e rilanciamo con forza l'appello alla classe politica perchè venga al più presto istituita una nuova Commissione parlamentare di inchiesta sull'uranio impoverito, in grado di completare e ampliare il lavoro della precedente. Una recente sentenza del Tribunale civile di Roma ha stabilito il risarcimento nei confronti dei familiari del militare sardo Salvatore Vacca, morto nel 1999 a causa di una leucemia dopo una missione nei Balcani, secondo quanto riportato questa mattina dal quotidiano "L'Unione Sarda".

Sulla vicenda non è stata fatta chiarezza, basta pensare che non si conoscono ancora le dimensioni reali del fenomeno, ossia il numero di militari morti o ammalati per presunta contaminazione. L'Associazione Vittime Uranio ha un elenco incompleto di 216 morti e oltre 2500 malati, ma si tratta di dati parziali. Ci sono state diverse interrogazioni al ministro Ignazio La Russa su questo aspetto, ma sarebbe opportuno che lo stesso fornisse questi dati in una sede più propria, ossia la Commissione parlamentare.

Per quanto riguarda la sola Sardegna il nostro sito pubblica un elenco con i nomi di 12 militari morti dopo aver prestato servizio all'estero o nei poligoni. Si tratta solo dei casi denunciati pubblicamente dalle associazioni e dai familiari di questi ragazzi. Tutto ci fa pensare che si è in presenza solo della punta dell'iceberg e per questo occorre continuare a chiedere la verità.

Associazione Vittime Uranio


ALTRI MEGA RISARCIMENTI ALLE VITTIME DEL "FUOCO AMICO"

Dopo la sentenza del Tribunale di Firenze del 17 dicembre 2008 che ha stabilito un risarcimento di 545.000 euro per il caso del paracadutista G.B. Marica, sulla base della documentazione fornita dalla Anavafaf, altri mega-risarcimenti sono stati stabiliti (caso Di Raimondo e caso Vacca). Si tratta di vittime del "fuoco amico" perché le armi all’uranio sono state usate non dal "nemico" ma da forze alleate (che non avevano nemmeno avvisato del pericolo).

Il caso Marica si riferisce alla Somalia (1992-94) dove i reparti USA operarono protetti e i nostri senza protezione. Ma la Commissione Mandelli non trattò il caso Somalia! Le prime norme di protezione apparvero circa 6 anni dopo , nel novembre 99 emanate dalla KFOR (la Forza Multilaterale nei Balcani). Non venne applicato quindi il PRINCIPIO DI PRECAUZIONE, principio che non richiede affatto l’accertamento di un nesso causale certo (tra uranio e tumori). Ancora ad oggi non si sa di chi fu la responsabilità della mancata emanazione di norme di protezione nei riguardi del "fuoco amico" e neppure si sa il numero dei malati: 312 fu il numero comunicato nel dicembre 2007 dal ministro Arturo Parisi alla Commissione di inchiesta del Senato. 1991 il numero comunicato dal GOI (Gruppo Operativo Interforze della Sanità Militare), oltre 2.500 il numero comunicato dalla Sanità Militare.

Tali numeri riguardano solo militari in servizio e non i civili, le forze di Polizia e altri corpi militarmente ordinati, per cui ad oggi una stima di circa 3.000 persone colpite non è irrealistica. Vi è dunque una enorme e inspiegabile incertezza sulla stessa entità del fenomeno. La Commissione Mandelli aveva preso in considerazione solo alcune decine di casi. Si introduce inoltre una gravissima ingiustizia. Infatti chi ha potuto disporre di soldi sufficienti per ricorrere ad un avvocato può contare su migliaia di euro di risarcimento, mentre vi è chi non ha ricevuto neppure un euro..

La situazione è del tutto inaccettabile sia sul piano della giustizia sia sul piano etico. Occorre che vengano corretti gli errori scientifici da parte di una commissione specializzata che riesamini i risultati della Commissione Mandelli e che venga ricostituita la Commissione parlamentare, decaduta nella scorsa legislatura, per accertare le responsabilità esistenti.

Falco Accame
Presidente Anavafaf

mercoledì 13 gennaio 2010

Interrogazione di Bellanova (Pd) a La Russa

Come annunciato nei gironi scorsi ho presentato un’interrogazione a risposta scritta al Ministro della Difesa per chiedere l’istituzione di una nuova Commissione d’inchiesta, per verificare quale materiale sia stato impiegato nei diversi poligoni presenti sul territorio italiano.

Già nel 2007 avevo interpellato l’allora Ministro della Difesa Parisi in merito all’aumento delle neoplasie registrato nella zona del poligono militare di Torre Veneri. La Commissione, istituita all’epoca, aveva visitato il poligono, ma dalla relazione finale della stessa del febbraio 2008 si evince che: “dal punto di vista organizzativo, permangono ancora dubbi circa l’adeguatezza delle procedure di controllo sulle attività svolte nei poligoni” e ancora “per quanto riguarda le vittime delle patologie nell’ambito del personale militare, non disponendo di dati precisi in ordine a coloro che hanno operato all’interno dei poligoni militari in Italia, non è stato possibile esprimere una compiuta valutazione in merito”.

Le conclusioni alle quali era giunta quella Commissione avevano lasciato, quindi, senza alcuna risposta sia la giusta esigenza di verità delle famiglie delle vittime che le preoccupazioni degli abitanti della zona interessata.

Nell’interrogazione ho inoltre chiesto se il Ministro non ritenga utile conoscere il numero di militari che, svolgendo il proprio lavoro, abbiano perso la vita e quanti abbiano visto gravemente compromessa la propria salute, per le patologie connesse all’uranio impoverito sul territorio italiano. Ritengo sia anche il caso di istituire uno sportello di pubblica utilità, a disposizione dei militari che oggi stanno vivendo il dramma umano della malattia e dei loro familiari, allo scopo di restare al loro fianco in questa gravosa situazione.

Lecce, 13 gennaio 2010

On. Teresa Bellanova

lunedì 4 gennaio 2010

ANCORA MORTI E MALATI. SERVE UNA NUOVA COMMISSIONE DI INCHIESTA

“Sono almeno 216 i militari italiani morti per possibile contaminazione da uranio impoverito”. Lo sostiene l’Associazione Vittime Uranio che questa mattina a Lecce ha denunciato due nuovi casi di morte e quattro di malattia e reso pubblico in una conferenza stampa un documento ufficiale della Sanità militare, agli atti dell’ultima commissione parlamentare di inchiesta.

“Si tratta tuttavia - ha spiegato Francesco Palese, portavoce dell’associazione - di un bilancio incompleto. Il documento della Sanità militare (che elenca 171 morti e 2500 malati) registra infatti l’ultimo decesso nel 2006 e non comprende peraltro i reduci da molte missioni, dai poligoni e tutti coloro che al momento della morte non erano più in servizio”. “Integrando questo documento con i dati in possesso dell’associazione - ha detto Palese – arriviamo a contare 216 morti, ma è un dato ancora parziale”.


Sulla questione, lo scorso 22 dicembre, il deputato radicale Maurizio Turco ha presentato un’interrogazione al Ministro della Difesa La Russa perché venga fatta chiarezza sulle reali dimensioni del fenomeno. Nel corso della conferenza, che ha visto anche la partecipazione di alcuni ex militari malati, è stata chiesta l’istituzione di una nuova commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito “per completare e ampliare il lavoro della precedente”.


I nuovi casi di morte segnalati riguardano: D.S., ex paracadutista della Folgore, della provincia di Reggio Calabria, deceduto nell’ottobre del 2007 all’età di 32 anni a causa di una leucemia sorta in seguito alle missioni in Somalia e in Bosnia e V.C. militare della provincia di Taranto morto sempre di leucemia alcuni anni fa. I casi di malattia riguardano invece un ex militare della provincia di Varese al quale è stato diagnosticato un linfoma dopo una missione presso il poligono a mare di Capo San Lorenzo, in Sardegna, un militare della provincia di Taranto, reduce da diverse missioni all’estero e ora malato di linfoma, due ex militari della provincia di Lecce anche loro malati di cancro, il primo dopo una missione in Bosnia, il secondo dopo il servizio di leva nel poligono salentino di Torre Veneri.

216 MORTI. MA IL BILANCIO E' PARZIALE

Ad oggi non esistono dati ufficiali e aggiornati sul numero di militari morti e malati per tutte quelle patologie riconducibili all’esposizione all’uranio impoverito. La nostra associazione ha un elenco di 216 morti e di oltre 2500 malati. Ma molte ragioni ci portano a credere che possano essere molti di più.

Il documento della Sanità militare

Esiste agli atti dell’ultima commissione di inchiesta del Senato un documento ufficiale della Sanità Militare riportante i nomi di 171 militari morti. Già questo bilancio è molto più grave rispetto ai dati forniti alla stessa Commissione dall’allora Ministro della Difesa Arturo Parisi, nella sua audizione del 6 dicembre del 2007, quando parlò di 77 morti.

Il documento della Sanità militare registra l’ultimo decesso il 25 settembre del 2006, e non comprende tra l’altro il personale non più in servizio al momento della morte o della comparsa della malattia. Non comprende inoltre i reduci dalle missioni in Iraq, in Somalia, in Bosnia e tutti coloro che hanno operato nei poligoni presenti sul territorio nazionale. Nel momento in cui le associazioni parlavano di 50 morti, il ministero quindi ne contava 171 e i dati erano incompleti. Questo ci fa interrogare su quanti effettivamente siano oggi.

I dati aggiornati

Integrando il documento della Sanità militare con i dati della nostra associazione arriviamo oggi a contare 216 morti. Ma anche i nostri dati sono incompleti, perché solo in pochi decidono di rivolgersi alle strutture come la nostra per denunciare la loro storia e intraprendere azioni legali.

L’ultimo militare morto è Manolo Pinna di 26 anni di Cagliari deceduto il 3 novembre 2009 dopo mesi di agonia. Aveva un tumore al cervello e aveva prestato servizio tra il 2001 e il 2002 nel poligono di Capo Teulada. Sulla sua morte è stato presentato un esposto alla Procura del capoluogo sardo.

L’interrogazione a La Russa

In virtù di tutto ciò è auspicabile che il Ministero della Difesa chiarisca le dimensioni del fenomeno. Su nostro impulso, lo scorso 22 dicembre, il deputato radicale Maurizio Turco ha presentato un’interrogazione al ministro La Russa chiedendo quanti siano i militari italiani morti e malati per le patologie connesse all'uranio impoverito, reduci da tutte le missioni internazionali che si sono svolte dal 1980 ad oggi, e quanti morti o malati per le stesse patologie abbiano invece prestato la loro opera nei poligoni presenti sul territorio nazionale.

L’Associazione Vittime Uranio chiede, anche per questo motivo, che venga urgentemente istituita una nuova Commissione Parlamentare di inchiesta in grado di completare ed ampliare il lavoro della precedente, costretta a chiudere per la fine anticipata della scorsa legislatura.


TORRE VENERI: MALATO DI TUMORE UN ALTRO EX MILITARE

Nuovo caso di possibile contaminazione da uranio impoverito in relazione al Poligono di Torre Veneri, in provincia di Lecce. M.D., ex militare di 33 anni, sta combattendo con un linfoma di Hodgkin e attualmente è in cura presso l’ospedale San Gerardo di Monza. La malattia è stata diagnosticata nel 2002. Il ragazzo ha prestato servizio di leva come carrista a Torre Veneri dal 1997 al 1998. “In quel periodo – ha raccontato – ho effettuato diverse esercitazioni, maneggiando munizioni ed armi di vario tipo. Ho fatto tutto ciò nella totale assenza di qualsiasi misura di protezione”.

Si tratta del secondo caso riguardante il poligono pugliese. Ma occorre sottolineare che solo pochissimi militari malati decidono di denunciare le loro condizioni alle associazioni e che non esistono in merito dati forniti dalle strutture militari.

Il precedente

Il 7 ottobre del 2007 un militare di Copertino, sempre nel Salento, di 29 anni, aveva denunciato di essere affetto da un’ “emoblastoma mandibolare”, un tumore osseo. Il giovane aveva prestato servizio nel poligono dal 1998 al 1999. L’attività svolta – denunciò l’ex militare – mi ha portato alla manipolazione di munizionamenti vari, provvedendo senza alcuna protezione a recuperare vedette, bersagli e bossoli esplosi, recandomi nella zona dove pochi minuti prima c'erano state le esplosioni''.

Sulla questione si sollevarono numerose polemiche. Da più parti si disse che l’Esercito italiano non ha mai avuto in dotazione munizionamenti all’uranio impoverito. Anche se questo fosse vero, non basterebbe per escludere che ci possano essere dei rischi per la salute e per l’ambiente, dal momento in cui è facile credere che nei poligoni non vengono utilizzati solo munizionamenti in dotazione alle nostre forze armate. A Torre Veneri, infatti, ci sono stati, nel corso degli anni, numerosi test ed esercitazioni che hanno visto la partecipazione di militari di altri paesi.

Le esercitazioni “a fuoco” della Nato durante la guerra in Somalia

Si ha notizia, ad esempio, di un’esercitazione in ambito Nato, svoltasi nel poligono il 13 Maggio del 1993, quando circa 400 paracadutisti dei contingenti statunitense, tedesco, spagnolo e belga della ''Amf'' (la forza mobile del Comando alleato in Europa) parteciparono ad un ''atto dimostrativo'' nell' ambito dell' esercitazione ''Arena Exchange '93''. In quell’occasione furono svolte anche delle prove “a fuoco” e furono utilizzate delle "sagome" per indicare il "nemico". Era il periodo in cui le forze dell’Alleanza erano impegnate nella missione in Somalia, dove è stato stabilito, anche dalla sentenza del Tribunale civile di Firenze del 17/12/2008, che furono utilizzate armi all’uranio impoverito. Per questo, e per non aver adeguatamente protetto i militari italiani, il Ministero della Difesa è stato condannato a risarcire con 545 mila euro il reduce dalla Somalia Gian Battista Marica, malato di linfoma di Hodgkin e deceduto un mese dopo la sentenza, che stabilì anche il “nesso di causalità” tra la patologia del militare e la sostanza incriminata. Nell’ambito di quel giudizio, inoltre, la Difesa neppure contestò che in Somalia fosse stato utilizzato l’uranio

impoverito. Da ricordare infine che anche la recente sentenza del Tribunale di Roma sul risarcimento di un milione e quattrocentomila euro ai familiari di un militare salentino, Alberto Di Raimondo, morto nel 2005, ha stabilito lo stesso nesso tra il linfoma di Hodgkin e la missione in Kosovo, dove la Nato ammise di avere esploso 31.000 proiettili all’uranio impoverito. Alla luce di tutto ciò è lecito chiedersi con quale tipo di armi si svolgevano le esercitazioni e i test delle forze della Nato nel poligono di Torre Veneri nel 1993. Con quelle che in quel momento venivano utilizzate in Somalia?

La mancanza di informazioni e i test sui blindati "Freccia"

Dai primi anni novanta in poi sono state sempre meno le notizie riguardanti l’attività svolta nel poligono. Ma recentemente, lo scorso 7 ottobre, si è appreso che qui è stato sperimentato il nuovo mezzo blindato dell’Esercito, il “Freccia”, un mezzo di ultima generazione che affiancherà i blindati “Lince” nella missione in Afghanistan. E’ lecito anche chiedersi con quale tipo di munizioni vengono testati questi mezzi, che devono essere in grado di “resistere” alle armi più efficaci, tra le quali sicuramente quelle contenenti uranio impoverito.

I contenitori misteriosi abbandonati nelle campagne

E’ utile anche ricordare un “giallo” accaduto nel 2000. Era il 3 marzo quando 250 contenitori di proiettili per artiglieria furono rinvenuti nelle campagne di Lizzanello, a pochi chilometri di distanza da Torre Veneri. Delle indagini, tese a stabilire di che tipo di armi si trattasse, se ne occuparono i carabinieri, ma non si è saputo più nulla. Si è saputo solo che sui contenitori erano presenti delle scritte in inglese e in tedesco.

La visita della Commissione di inchiesta

Il 21 settembre del 2007 una delegazione della Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito ha effettuato una visita ufficiale nel poligono di Torre Veneri. L’indagine è consistita, stando alla relazione finale della Commissione, del febbraio 2008, in un “approfondito incontro con il Comandante della struttura, con i suoi collaboratori e con altri alti ufficiali delle Forze Armate”. Nessun prelievo di reperto o di matrici ambientali è stato quindi effettuato, come ad esempio hanno fatto i consulenti della stessa commissione in un altro poligono, quello di Salto di Quirra, in Sardegna.

Nella relazione finale della Commissione, in merito ai poligoni presi in esame (oltre a Torre Veneri e Salto di Quirra anche Capo Teulada, sempre in Sardegna) si dice che: “dal punto di vista organizzativo, permangono ancora dubbi circa l’adeguatezza delle procedure di controllo sulle attività svolte nei poligoni”. Sulla relazione si legge anche: “Per quanto riguarda le vittime delle patologie nell’ambito del personale militare, non disponendo di dati precisi in ordine a coloro che hanno operato all’interno dei poligoni militari in Italia, non è stato possibile esprimere una compiuta valutazione in merito”. Insomma, dalla Commissione nessuna possibilità di fare chiarezza.

L’interrogazione senza risposta

In seguito alla denuncia della malattia del militare di Copertino, il 25 ottobre del 2007, la parlamentare Teresa Bellanova presentò un‘interrogazione al Ministro della Difesa chiedendo “se e da quando nel Poligono di Torre Veneri si faccia uso di uranio impoverito, durante le esercitazioni militari”. Nessuna risposta è giunta dal Ministro. Nell’interrogazione si faceva anche riferimento a una “diffusa e forte preoccupazione tra gli abitanti di Frigole, località costiera della città di Lecce, per l'alta incidenza di patologie neoplastiche verificatesi soprattutto negli ultimi anni”.


Francesco Palese