venerdì 29 giugno 2007

La Commissione di inchiesta invia la polizia giudiziaria presso gli organi della Difesa

Sarà la polizia giudiziaria ad acquisire dai distretti militari e dagli organi della Difesa competenti la documentazione relativa ai militari italiani impiegati nelle missioni all'estero e non solo. Questi dati saranno utili alla Commissione per fare luce sulle patologie riscontrate dai nostri soldati in relazione ai teatri dove sono stati impiegati.

La decisione è stata recentemente presa dalla stessa commissione, la quale detiene i poteri dell'autorità giudiziaria. Lo rende noto Vittimeuranio.com.

Una prima importante selezione dei documenti da acquisire potrebbe riguardare i nominativi dei 50 deceduti menzionati nel "Libro Nero", a cui va dato il merito di aver reso pubblico, per la prima volta, l'elenco dei morti causati da possibile contaminazione da uranio impoverito.

Il secondo passaggio potrebbe inoltre riguardare l'aquisizione del materiale riguardante i casi di malattia già denunciati, e quindi non coperti da privacy, dei quali l'Ana-Vafaf sta predisponendo un elenco.

L'associazione si riserva di individuare e comunicare alcuni dei possibili settori in cui può essere fattibile l'esame dei dati, non essendo praticabile l'ipotesi di verifica di centinaia di migliaia di documenti matricolari per i lunghissimi tempi che questa operazione richiederebbe.

Francesco PALESE

giovedì 28 giugno 2007

'GETTIAMO LE BASI', DATO SARDO IL PIU' PREOCCUPANTE

(ANSA) - CAGLIARI, 28 GIU - Il dato sardo di 10 morti per possibile contaminazione da uranio impoverito e' il piu' preoccupante fra quelli contenuti nel 'Libro Nero' realizzato dall'associazione delle vittime Ana-Vafaf, presieduta da Falco Accame, in collaborazione con il portale Vittimeuranio.com.

Lo sostiene Mariella Cao, portavoce del comitato 'Gettiamo le basi'. 'Premesso che ai 10 morti registrati in Sardegna dal 'Libro nero' ne vanno aggiunti almeno altri tre - sostiene Cao - il dato va comunque rapportato con la popolazione dell'isola, poco piu' di un milione e mezzo di abitanti. La Sardegna quindi ha il doppio dei morti rispetto alla Puglia e il triplo rispetto alla Campania'.
Secondo Cao finora non e' stato sufficientemente esaminato il caso dei poligoni sardi, dove secondo il 'Libro Nero' i militari in servizio avrebbero raccolto a mani nude proiettili e residuati bellici nelle operazioni di bonifica del terreno.

'Servono nuovi controlli e, soprattutto, va applicato immediatamente l'art. 3 del protocollo di Rio, firmato anche dall'Italia. In caso di sospetto - continua Cao - va applicato il principio di precauzione, vanno sospese immediatamente le attivita' nei poligoni e si devono cominciare indagini serie'.

'Invece sembra che le indagini condotte dal 2001 ad oggi - conclude la portavoce di 'Gettiamo le basi' - siano un contentino per l'opinione pubblica'. (ANSA).

martedì 26 giugno 2007

Libro Nero: in Campania, Sardegna e Puglia il maggior numero di morti

(Vittimeuranio.com) Riportiamo di seguito una scheda con la provenienza geografica di 78 militari deceduti per possibile contaminazione da uranio impoverito suddivisi per regione e provincia. Si tratta solo dei casi denunciati pubblicamente, dal nostro sito, dai familiari o dalle altre associazioni. Tra parentesi l’anno del decesso. Ultimo aggiornamento: 19 Dicembre 2009.


CAMPANIA – 14 MORTI

Napoli – 5
Roberto Buonincontro (1996), Domenico Di Francia (1998), Antonio Milano (2002), Luca Sepe (2004), Fabio Senatore (2005).
Salerno – 5
Renzo Inghilleri (1993), Luca De Marco (2004), Aniello D’Alessandro (2006), Amedeo D’Inverno (2007), Anonimo (n.d. - morte resa nota nel 2008)
Caserta – 3
Sergio D’Angelo (2003), Carmine Polito (2004), Giuseppe Bernardo (2005).
Avellino
Emiliano Di Guida (2007)


SARDEGNA - 12 MORTI
Cagliari – 8

Giuseppe Pintus (1994), Salvatore Vacca (1999), Antonio Vargiu (2001), Fabio Porru (2003), Valery Melis (2004), Gianfranco Floris (2004), Anonimo (2009), Manolo Pinna (2009)
Sassari – 3
Gianni Faedda (2002), Filippo Pilia (2002), Maurizio Serra (2004)
Oristano
Luciano Falsarone (2004)


PUGLIA – 10 MORTI
Lecce – 3
Andrea Antonaci (2000), Alberto Di Raimondo (2005), Giorgio Parlangeli (2007)
Taranto - 3
V.C. (1996), Paolo Cariello (2006), Roberto C. (2007)
Bari - 2
Aldo Taccardo (2004), G. B. (2005)
Brindisi
Crescenzo D’Alicandro (1996)
Foggia
Corrado Di Giacobbe (2001)


LAZIO – 7 MORTI
Roma – 5
Alvaro Marini (1997), Riccardo Grimaldi (2004), Fabrizio Venarubea (2004), Anonimo (2008), Anonimo (2009)
Frosinone
Eddy Pallone (2007)
Viterbo
Marco Milioni (2008)


SICILIA – 5 MORTI
Siracusa - 2
Salvatore Carbonaro (2000), Giuseppe Bongiovanni (2007)
Palermo
Antonio Fotia (2002)
Catania
Antonio Caruso (1999)
Messina
Paolo C. (n.d.)


LOMBARDIA – 5 MORTI
Milano - 3
Marco Riccardi (2000), Cesare Boscaino (2004), Anonimo (2007)
Mantova
Alessandro Garofolo (1993)
Varese
Rinaldo Colombo (2000)


TOSCANA - 4 MORTI
Grosseto - 3
Stefano Ceccarini (1999), Leonardo Manicone (2004), Gian Battista Marica (2009)
Firenze
Pasquale Cinelli (2000)


VENETO – 4 MORTI
Padova - 2
Lorenzo Michelini (1977), Amos Lucchini (2008)
Verona
Umberto Pizzamiglio (1999)
Venezia
Stefano Cappellaro (2007)


CALABRIA - 3 MORTI
Cosenza
Francesco De Seta (2009)
Vibo Valentia
Domenico Gurrao (2008)
Reggio Calabria
D.S. (2007)


LIGURIA – 2 MORTI
Genova
Emilio Di Zazzo (2004)
Imperia
Valerio Campagna (2003)


FRIULI - 2 MORTI
Udine -2
Emanuele Pecoraro (2007), Andrea Orsetti (2008)


EMILIA ROMAGNA - 2 MORTI
Rimini
Anonimo (morte resa nota nel 2009)
Modena
Giuseppe Benetti (1998)


UMBRIA – UN MORTO
Orvieto
Stefano Melone (2001)


ABRUZZO - UN MORTO
L'Aquila
Fabrizio Di Nino (2009)


REGIONE SCONOSCIUTA – 6 MORTI
Davide Zulian (1991), Francesco Baldi (1998),Luigi D’Alessio (2000), Mario Ricordi (2000), Luigi Cristofaro (2000), V.M. (2009)


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Discordanza nei dati relativi al numero delle vittime

Il Ministro della Difesa Arturo Parisi nelle sue due audizioni del 9 ottobre 2007 e del 6 dicembre 2007, ha indicato rispettivamente in 37 e 77 i casi di morte e in 255 e 312 i casi di malattia, dunque delle cifre sensibilmente discordanti tra loro, mentre la Sanità Militare (GOI, Gruppo Operativo Interforze della Sanità Militare) ha indicato in 158 i casi di morte e in 1833 i casi di malattia (vedi audizione del Senato del 4 ottobre 2007).

Quindi, non solo vi è un disaccordo considerevole tra le cifre comunicate dal Ministro nelle due audizioni, ma esiste anche un disaccordo tra tali cifre e quelle comunicate dalla Sanità Militare.
Nè si forniscono spiegazioni su come è stato possibile che in pochi anni si è passati dai 44 casi di possibile esposizione, presi come base dalla III Relazione Mandelli, ai circa 2000 casi presi in considerazione dalla Sanità Militare.

L'analisi dei dati del "Libro Nero". Un primo bilancio

(Vittimeuranio.com) Il dossier include un elenco di 50 casi di militari morti per possibile contaminazione da uranio impoverito e include anche due casi di malformazioni alla nascita.

E’ da tener presente che si tratta di dati “grossolani” per l’ impossibilità di recepire, per la maggioranza dei casi, informazioni più precise. I dati vanno quindi presi come una semplice indicazione che non può servire come base per uno studio statistico scientificamente basato e ancor meno per uno studio epidemiologico. E ciò anche, ovviamente, per l’estrema limitatezza numerica dei dati stessi.

Per ragioni soprattutto di privacy il dossier non menziona casi di malattia, ma si limita a indicare solo i casi di morte. Ed anche per due di questi, in base a specifiche richieste dei genitori, non è riportato il cognome dei deceduti (e i dati che potrebbero portare a identificarli). Questo vale anche per i casi di malformazione alla nascita citati. Il problema della privacy rende difficile un approfondimento della ricerca e solo nel caso di una modifica legislativa rispetto alle norme esistenti, in cui si stabilisca il prevalere dell’interesse collettivo sul singolo, si potrà superare del tutto l’ostacolo.

Entrando nel merito, dallo specchio risultano 19 casi di patologie tumorali, delle quali 6 non definite, 5 casi di tumore celebrale (una forma patologica che finora non era emersa come rilevante) 2 tumori ai polmoni, 2 allo stomaco, uno alla laringe, al pancreas, al cavo orale e ai reni. Sono invece 11 i casi di leucemia di vario tipo, 8 casi di linfoma di Hodgkin, 4 casi di melanomi, 4 casi di linfomi non meglio precisati, 3 casi di linfomi non Hodgkin.

Un’altra indicazione finora non emersa con questa evidenza è quella che riguarda gli 11 casi di tumore che si sono verificati nei nostri poligoni, quindi in Italia e non all’estero né in missione. Da notare che nei poligoni, purtroppo, una larga parte dei nostri militari ha raccolto a mani nude proiettili e residuati bellici nelle operazioni di pulizia del terreno.

Alla situazione nei poligoni fanno fronte i 12 casi attribuibili, con le necessarie riserve, a militari che hanno operato in Bosnia e ai 30 complessivi attribuibili alla permanenza nei Balcani. Rispetto a indagini condotte nel passato emergono 2 casi di morte attribuibili alla permanenza nel teatro della Guerra del Golfo del 91 e 5 casi attribuibili alla permanenza in Somalia nel 93.

Va ricordato che la Commissione Mandelli ha preso in considerazione solo casi di tumore verificatisi in Bosnia e Kosovo e non casi di malformazioni alla nascita. Va tenuto presente che, specie per coloro che hanno operato in più teatri, è praticamente impossibile attribuire la patologia alla presenza in un teatro piuttosto che in un altro. Può anche essersi verificato che l’insorgere delle patologie sia stato determinato da vari step successivi.

Occorre quindi che vengano resi disponibili dal Ministero della Difesa i documenti caratteristici dei singoli con le relative destinazioni e le cartelle cliniche ove possibile.

Dalla tabella emergono 32 casi al Sud, 10 al Centro e 5 al Nord. Tenendo presente che non si conoscono i luoghi di nascita di tutto il personale, questa valutazione rispecchia la provenienza geografica degli arruolati nelle Forze armate italiane.

Alcune riflessioni conclusive. Bisogna in primis considerare che i casi da esaminare sono presumibilmente in numero maggiore rispetto a quelli di cui dispone l’Ana-Vafaf.

La grandissima maggioranza del personale deceduto, poi, non ha potuto disporre di protezioni come quelle che invece erano state applicate rigorosamente dagli Usa già dall’ottobre del 93 in occasione della missione Restore Hope in Somalia.

Bisogna inoltre tener presente che se non si può affermare con certezza che il killer sia l’uranio impoverito allo stesso tempo non si può escludere con la stessa certezza che non lo sia (naturalmente possono esserci delle concause).

Occorre infine ricordare che se il personale militare e civile che è stato destinato ad operare in zone contaminate può proteggersi con adeguate misure, questo non è possibile per le popolazioni che vivono in quelle zone, per cui si impongono azioni volte a promuovere l’abolizione delle armi all’uranio impoverito.

Falco Accame
Presidente Ana-Vafaf

giovedì 21 giugno 2007

Contro il silenzio, riaprire il dibattito

Con la presentazione del "Libro Nero" dell'Ana-vafaf si è cercato di riaprire un dibattito tra gli esperti del settore, invitati a vigilare sui lavori della commissione di inchiesta, e l'opinione pubblica.

L'evento, organizzato dal nostro portale, ha interessato le emittenti televisive: LA7, Telenorba, la testata Pugliese del TG della Rai, Canale Italia, Mediterraneo Sat, Tele Roma 56, Tele Ambiente. I quotidiani nazionali: L'Avvenire, Liberazione, Metro, City. I quotidiani locali: La Gazzetta del Mezzogiorno, La Gazzetta del Sud, La Nuova Sardegna, Il Giornale di Sicilia, Il Corriere del Giorno, Il Nuovo Quotidiano di Puglia, ed altri. Le agenzie di stampa: Ansa, Agi, AdnKronos, Dire, 9colonne. Una miriade di siti e portali informativi.

martedì 19 giugno 2007

Ancora tre morti. Le vittime militari ora sono 50

50 militari italiani morti a causa della possibile contaminazione da uranio impoverito in seguito alle missioni nel Golfo, in Somalia, nei Balcani e alle destinazioni nei poligoni e depositi militari, oltre a due casi di gravissime malformazioni alla nascita nonché tre casi di vittime civili.
E’ il bilancio del "presunto Killer" al quale è stato dedicato il "Libro Nero" dell’Ana-Vafaf (Associazione nazionale assistenza delle vittime appartenenti alle forze armate) contenente le storie dei caduti.

Nella conferenza di presentazione, organizzata in collaborazione con il nuovo portale di denuncia Vittimeuranio.com, il presidente dell’Ana-vafaf Falco Accame ha denunciato gli ultimi tre casi rimasti sconosciuti. Il primo riguarda un ufficiale del Sismi, Antonio Caruso, originario di Catania, deceduto a causa di un tumore al cervello nel 1999, dopo aver prestato servizio in diversi teatri come la Somalia e la Bosnia.

“La notizia della sua scomparsa è stata resa nota solo oggi – ha spiegato Accame – data la particolarità del soggetto impiegato alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La vedova dell’ufficiale ha lamentato il fatto di essere ancora in attesa dopo 8 anni di una risposta da parte della Difesa sul riconoscimento della causa di servizio al marito”.

"Degli altri due casi - ha rivelato Accame - si possono fornire informazioni limitate a causa della volontà di riservatezza espressa dai familiari. Il primo riguarda il caporalmaggiore Roberto C. di Taranto, morto nei mesi scorsi a causa di un tumore, al rientro da una missione operativa in Kosovo dopo aver operato anche nella base di Gioia del Colle. Un altro caso riguarda il sottufficiale Paolo C. di Messina, morto un anno fa anche lui a causa di un tumore dopo una missione nei Balcani".

"Tutto ciò - ha continuato l'ex presidente della Commissione Difesa - mentre restano gravissime le condizioni del giovante ventitreenne della provincia di Catanzaro rimpatriato dal Libano all’inizio di Giugno in seguito all’individuazione di un tumore in stadio avanzato. Su questo c’è da chiedersi se sono state effettuate tempestivamente le visite di controllo, e se queste vengono effettuate da tutti gli altri miliari in Libano. E mentre un ex sergente dell’Esercito si è rivolto all’associazione denunciando di essere affetto da un linfoma di hodgkin al quarto stadio dopo aver effettuato tre missioni nei Balcani".

"Il denominatore comune di tutte queste morti - secondo Accame - risiede nel fatto che nessuno di loro non aveva adottato nessuna misura di protezione contrariamente a quanto fatto dai reparti americani con oltre sei anni di anticipo. Ma le protezioni sono rimaste spesso solo sulla carta anche dopo l’emanazione delle prime norme italiane risalenti al 1999, come hanno avuto modo di denunciare moltissimi reduci. E’ paradossale che ai nostri militari impiegati in Somalia siano state impartite precise disposizioni degli stati maggiori per proteggersi dalle zanzare, dai colpi di calore, dalla diarrea e dai rischi derivanti dai morsi dei ragni, e non sia stata presa in considerazione la pericolosità dell’uranio".

"Ci aspettiamo - ha concluso - che questo dossier sia acquisito agli atti della Commissione parlamentare di inchiesta tenuto conto che la base dei dati sulla quale sta facendo riferimento è assolutamente vaga, basti pensare al fatto che le vittime restano ancora 28 per la Difesa".

Intanto, attraverso il portale Vittimeuranio.com, il fisico nucleare Evandro Lodi Rizzini, direttore del Dipartimento di Chimica e Fisica dell'Università di Brescia, lancia un appello agli organi competenti chiedendo di poter svolgere delle analisi sperimentali, esplodendo alcuni proiettili all'uranio in una struttura idonea per valutarne gli effetti. "Continuare con delle analisi statistiche come ha fatto la Commissione Mandelli - ha spiegato lo scienziato - non è sufficiente".

Francesco PALESE

lunedì 18 giugno 2007

Tutte le critiche alla Commissione di inchiesta

Pubblichiamo di seguito tutte le osservazioni relative alle audizioni degli esperti fin qui tenute alla Commissione di inchiesta sull'uranio impoverito. Potete inviare i vostri commenti all'indirizzo: posta@vittimeuranio.com


1) Nano particelle. Audizione della dott.ssa Antonietta M. Gatti del 27 marzo 2007

Se ho inteso bene il resoconto dell’Audizione, la dott.ssa Gatti nella sua esposizione ha accantonato la possibilità che alcune delle patologie di cui si discute, possano essere derivate dall’uranio impoverito e che invece, occorra concentrarsi sugli effetti della nano particelle nelle quali non si riscontra la presenza di uranio impoverito.

Mi pare che ciò coincida con quanto si legge nell’articolo pubblicato sul quotidiano ‘La Stampa’. Se ho ben capito la teoria della dott.ssa Gatti (della quale ho avuto modo, in passato, di leggere ricerche in campo odontoiatrico, sempre attinenti alla questione delle “piccolissime particelle”), la stessa dott.ssa Gatti ha esaminato le conseguenze dell’uranio “a caldo”, cioè quando un proiettile all’uranio impatta su una superficie solida, sviluppando temperature dell’ordine dei 3000 gradi e anche con effetti pirofori che danno luogo ad una “sublimazione” del materiale.

Nella teoria della dott.ssa Gatti, l’uranio viene inteso, per usare un termine sociologico, come il “mandante”, il quale resta occulto, mentre devolve l’azione ai “mandati” che sarebbero numerosi metalli, come lo stronzio ed altri.

Dunque, sempre in relazione a questa metafora sociologica, l’uranio sarebbe una specie di “Totò Riina” che non compare mai nei delitti di mafia effettuati dai suoi “mandati”.

Infatti, la dott.ssa Gatti sostiene di non aver trovato traccia dell’uranio impoverito nei reperti da lei esaminati, ma sempre altri metalli. Il rapporto tra uranio impoverito e tumori quindi non esisterebbe. E per quanto riguarda il rapporto tra gli altri metalli e l’insorgere di tumori, malformazioni alla nascita, patologie neurologiche, ecc. non vi sarebbero prove ed il legame resterebbe di tipo probabilistico.

Ma il punto che mi preme mettere in evidenza è che la teoria della dott.ssa Gatti riguarda la pericolosità dell’uranio per così dire “a caldo”, anzi potremmo dire “a caldissimo”, visto le temperature che si sviluppano.

Ma quanto sopra non copre affatto la situazione di rischio presentata dall’uranio e specificamente ribadita in tutte le norme di protezione che dal 1984 sono state individuate. Infatti, se la teoria della dott.ssa Gatti si può prestare ad esaminare la pericolosità nella situazione di impatto di un proiettile contro un ostacolo, non si presta a valutare il pericolo “a freddo” nel caso di maneggio di proiettili all’uranio impoverito o, ad esempio, barre di compensazione degli impennaggi degli aerei.

Pensiamo, ad esempio anche al maneggio di proiettili che si sono conficcati nel terreno da parte di civili (spesso bambini) nelle località bombardate. Pensiamo al maneggio di proiettili nei depositi di munizioni, o al maneggio di residuati di proiettili in Italia e all’estero.

Mi preme menzionare il fatto che a proposito del maneggio di munizioni e dei pericoli relativi, vi è stata in passato una polemica di cui riferiscono gli allegati, che si è sviluppata nel deposito delle “Casermette” a Bibbona presso Cecina. Gli artificieri che dovevano ripulire dei proiettili dalla ossidazione che si era verificata, chiesero un intervento della locale ASL perchè erano preoccupati per la loro salute.

Questa è, ad esempio, una situazione in cui la teoria della dott.ssa Gatti è inapplicabile perchè è una situazione di rischio “a freddo” e non “a caldo” e riguarda lo strato di ossidazione che si sviluppa sulla superficie del metallo. Qui non sono in gioco nè altri metalli nè “mandanti occulti”. Ma perchè una teoria possa ritenersi valida, deve poter essere applicabile in tutte le situazioni.

Desidero, infine, precisare che quelle che, almeno al sottoscritto, risultano essere le prime norme di protezione inviate all’Italia in ambito NATO, sono quelle del 1984. E’ proprio in queste norme di protezione che si precisano i provvedimenti da adottare, di fronte ai pericoli dell’uranio impoverito, e che sono costituiti dall’uso di guanti, tute, maschere, occhiali. Queste norme furono riprese anche in un articolo del quotidiano ‘Metro’, a firma della giornalista Stefania Divertito.

Le norme del 1984 si riferiscono specificamente ai pericoli che presenta il maneggio delle barre di uranio che, come sopra accennato, vengono usate negli impennaggi degli aerei militari e di quelli civili. Uso che è stato, da qualche anno, proibito.

Può forse essere non inutile ricordare da che cosa nacque un primo allarme sulla pericolosità dell’uranio impoverito, dopo quello che era stato dato in Australia negli anni ’50. In Giappone si verificò che, al decollo, un aereo si schiantasse al suolo producendo un furioso incendio che risultava inspiegabile agli esperti. Dopo attenti studi si dedusse che questo incendio anomalo si era sviluppato per via dell’effetto piroforo delle barre all’uranio contenute nei timoni di direzione, quando si sviluppò l’incendio. Quanto avvenuto in Giappone si ripetette anche, su scala minore, in Italia, presso l’aeroporto della Malpensa. L’esito (all’italiana) fu il licenziamento del Vigile del Fuoco che aveva denunciato il fatto.

In conclusione, mi sembra che non ci si possa fondare sulla teoria della dott.ssa Gatti indipendentemente dal fatto che possa o meno dimostrare la pericolosità dell’uranio impoverito in quanto tiene conto solo della problematica a caldo e non di quella a freddo.

Mi pare anche che, pur nei limiti che riguardano la situazione a caldo, la teoria non porti ad affermare nè che l’uranio impoverito possa essere la causa dei tumori, e neppure il contrario come hanno cercato di sostenere coloro che attribuiscono ai vaccini e non all’uranio la causa delle patologie, dimenticandosi che queste patologie si sviluppano non solo all’estero, al personale a cui sono state fatte particolari vaccinazioni, ma anche sul territorio nazionale per militari e anche per civili, come è apparso per esempio, in alcuni poligoni della Sardegna e nelle zone adiacenti.

Si ritiene, perciò necessario, un maggior approfondimento sulla questione anche nell’ambito della stessa commissione di indagine e negli appropriati organi competenti nel campo scientifico.

2) Errori Commissione Mandelli. Audizione del Prof. Grandolfo, pag. 11 della relazione dell’11 Aprile 2007.

Il Prof. Grandolfo muove due critiche alle Relazioni Mandelli. In particolare a pag. 11 afferma: “L’altra critica, anche questa sensata, riguarda il fatto che non avendo i nostri soldati, per un certo periodo di tempo, ricevuto indicazioni precise circa particolari modalità di protezione dall’eventuale contaminazione da uranio, il confronto era stato fatto prendendo a base la popolazione militare nel suo complesso. Allora sono state individuate due distinte “coorti” di militari: una precedente l’adozione delle dotazioni di protezione, e una successiva. I numeri sono cambiati aritmeticamente, ma la sostanza no. In questo senso, neppure con metodiche diverse, e con tutte le limitazioni che volete, abbiamo sempre rilevato un eccesso di linfomi di Hodgkin”. In relazione a queste affermazioni, formulo le seguenti osservazioni:

La critica di cui sopra, ritenuta ora sensata, fu da me sollevata anche nel corso del Convegno che si tenne presso l’Istituto Superiore di Sanità. Quando io sostenni questa critica (come possono testimoniare molti dei presenti), fu affermato dai rappresentanti dell’Istituto di cui il Prof. Grandolfo fa parte, che questa critica era del tutto infondata e, anzi, vi fu un tentativo (assai sgradevole) di togliermi addirittura la parola. Cercherò, allora, di precisare la critica che mossi nei suoi termini esatti. Nelle tre Relazioni Mandelli, il numero dei potenziali militari contaminabili in Bosnia e Kossovo, è un numero variabile, ma sempre oltre i 40.000. Io affermai che da questa cifra andavano tolti i circa 12.000 militari che avevano operato, dopo il 2000, ed avevano l’ordine di adottare le norme di precauzione che erano state varate il 22 novembre 1999. Io sostenni quindi, che almeno 12.000 persone dovevano essere tolte dal conteggio, perchè essendo protette costituivano una categoria protetta diversa da quella dei militari non protetti. Affermai questo già a partire dalla Prima Relazione, nella quale già questo errore era contenuto. Occorreva togliere dal conto quasi un terzo del personale che era stato preso in considerazione. Credo sia evidente a tutti, per fare un esempio, che non è la stessa cosa parlare di un morto su 20 casi o su 30 casi.

Il punto è che andavano rifatti i “conti”, perchè cambiano i parametri di rischiosità del personale. Ciò è ancora, attualmente necessario, per consentire alla Commissione, recentemente costituitasi, di poter lavorare con dei dati più realistici.

Non entro qui nel merito del numero dei 40.000 potenziali esposti, un numero assolutamente aberrante rispetto alla realtà, perchè questo numero è stato fornito alla Commissione dall’esterno, credo dalla Direzione di Sanità. Mi è anche stato detto che, a proposito di questi numeri e dei dati forniti, vi furono delle contestazioni tra chi i dati aveva ricevuto e chi li aveva forniti. Ma questo è un altro discorso, anche se certamente è finalmente necessario stabilire, non solo il numero complessivo di potenziali contaminati, ma anche individuare differenziate zone di rischio alla esposizione. Non posso, infatti, considerare egualmente esposto un militare che si trova a pochi metri da un obiettivo colpito e un militare che si trova ad un chilometro, a dieci o a cento chilometri di distanza. Occorre, cioè, stabilire, in base alle posizioni in cui si trovavano i nostri militari (che sono note in base ai rapporti dell’attività quotidiana dei reparti) e la posizione degli obiettivi colpiti.

Credo che, mentre per il Kossovo la NATO abbia fornito delle indicazioni sia pure imprecise, non esistono ancora, ma posso sbagliarmi, quelle relative alla Bosnia.

Comunque, indicazioni più precise si possono ricavare dai rapporti di volo degli aerei che sono stati usati nei bombardamenti in Bosnia e Kossovo attraverso quanto risulta dai rapporti di volo.

Se si vuole approfondire la materia occorre, finalmente, entrare in possesso sia dei dati relativi alle posizioni dei bombardamenti, sia dei dati relativi alle posizioni dei nostri reparti, per avere una cognizione delle distanze tra obiettivi colpiti e uomini sul campo. Conta, però, anche la “distanza nel tempo”, perchè non c’è lo stesso rischio nel trovarsi presso un obiettivo colpito lo stesso giorno del bombardamento, un anno dopo o cinque anni dopo.

Inoltre, il numero di 40.000 persone presenti sui teatri operativi della Bosnia e del Kossovo è anche molto superiore al numero complessivo dei militari impiegati nei Balcani che, secondo l’ultimo libro bianco della Difesa, è di 27.000.

Merita ancora un accenno il fatto che nostri reparti hanno operato in Albania e Macedonia, al confine con la zona più bombardata del Kossovo, la zona meridionale, e che la Commissione Mandelli, la quale aveva ricevuto come mandato di indagare sulle presenze nei Balcani, ha omesso di considerare le presenze in Albania e Macedonia, dove, invece, abbiamo avuto vari casi di contaminati e anche di morti. Tra i casi più noti quello del Caporal Maggiore Melis e del Capitano Grimaldi. La relazione Mandelli andrebbe quindi integrata delle presenze in Albania e Macedonia, per quanto concerne i Balcani. Ma, naturalmente, i casi di contaminazione non si sono avuti solo nei Balcani, ma anche nella I^ Guerra del Golfo (Kuwait) e nella Somalia e anche in Italia, nei poligoni e in depositi di materiale. Ma su questo tornerò in seguito.

In un secondo punto dell’Audizione si afferma: “ABBIAMO SEMPRE RILEVATO UN ECCESSO DEI LINFOMI DI HODGKIN”. Occorre in proposito distinguere tra eccesso che non influisce sui risultati ed eccesso che influisce sui risultati. Al termine della Prima Relazione, ed in particolare in sede della conferenza stampa, conferenza a cui ero personalmente presente, si affermò, di fronte a tutti i mass media, che nessun parametro critico di rischio era stato superato, anche se qualcuno avvicinato. Comunque, come noi tutti ricordiamo, il messaggio che passò attraverso tutti i mass media al termine della Prima Relazione, fu che in pratica non esistevano pericoli. Si trattò di un messaggio che credo abbia influenzato le Commissioni mediche nel tendere a non concedere cause di servizio, e certamente ha affievolito l’attenzione per una rigorosa applicazione delle norme di protezione ed ha avuto anche delle conseguenze negative legate al fatto che molti reduci da operazioni cui avevano avuto la possibilità di incorrere nella contaminazione da uranio impoverito, non hanno posto sufficiente attenzione sul fatto che la loro malattia poteva dipendere da questa contaminazione. E quindi non si sono avute delle segnalazioni tempestive, la cui importanza è ovvia.

L’eccesso dei linfomi di Hodgkin, avente un risultato incidente sulla pericolosità, avvenne solo dopo che fu corretto, nella Prima Relazione della Commissione Mandelli, un altro gravissimo errore da cui questa era affetta e cioè il fatto che si era basata, nelle calcolazioni, sulla “distribuzione di Gauss” al posto di quella di “Poisson”. Solo nella Seconda Relazione, essendo stato riconosciuto questo errore e presa quindi in considerazione la “distribuzione di Poisson”, emerse immediatamente quell’eccesso dei linfomi di Hodgkin che non era emerso nella Prima Relazione e che si manifestò ancor più chiaramente nella Terza Relazione. E’ importante che la Commissione conosca esattamente ciò che si è verificato nel passato.

Desidero ricordare anche la necessità di precisione circa l’entità dei casi di decesso e di malattia presi in considerazione. Per quanto riguarda i casi di decesso, mi pare che il Ministero della Difesa si sia fermato a 28, mentre credo siano molti di più, e ciò anche in considerazione dei seguenti fatti:

1) la Commissione Mandelli si è limitata, come sopra accennato, a considerare la situazione in Bosnia e Kossovo, tralasciando l’Albania e la Macedonia, aree nelle quali, per limitarsi ai casi di decesso, abbiamo avuto quelli sopracitati del Capitano Grimaldi e del Caporal Maggiore Melis. Non è stata presa in considerazione la situazione della Somalia dove, sempre limitandosi ai casi di decesso, vi sono stati quelli di Pizzamiglio, D’Alicandro, Marini. E’ stata altresì non presa in considerazione la Guerra del Golfo del 1991, dove, sempre limitandosi ai casi di morti, vi sono stati i casi di Ceccarini e Boscarini. Inoltre, la Commissione non ha preso in considerazione (ma questo non era previsto nel suo mandato, erroneamente formulato) il caso delle morti in Italia nei poligoni e nei depositi. Potremmo citare, sempre limitandoci ai casi di morte, quelli di Serra, Faedda, Pintus, Bonincontro, Vargiu e Inghilleri.

2) La Commissione Mandelli si è occupata solo dei casi di tumore. Ma questi non sono solo i casi che dovevano essere presi in considerazione, perchè vi sono stati casi altrettanto gravi, come quello della nascita di bambini malformi, o quello di patologie neurologiche (Morbo di Gerhing e simili).

3) La Commissione Mandelli non ha preso in considerazione il pericolo chimico che è, ripetiamo, UNA CERTEZZA e i danni che ha procurato (soprattutto gravi danni ai reni).

4) La Commissione Mandelli necessita di verifiche sperimentali. Non basta solo l’aspetto di valutazione statistica, ma occorrono anche conferme sperimentali di vario tipo. In proposito, potremmo accennare al fatto che era, ed è, certamente possibile approfittare dei tests che debbono essere eseguiti circa la resistenza delle blindature e corazzature di mezzi militari, a fronte della pericolosità dei proiettili all’uranio impoverito, per predisporre tutta una serie di sperimentazioni collaterali per la raccolta di altri dati. Fu il Prof. Evandro Lodi Rizzini, della Università di Brescia, Presidente della Facoltà di Chimica e Fisica e sperimentatore presso il CERN di Ginevra, mettere in evidenza (intervista al Corriere della Sera) la esigenza di una adeguata sperimentazione collaterale agli studi teorici.

5) Dal punto di vista metodologico, pur essendosi parlato, a proposito delle Relazioni Mandelli, di studi “epidemiologici”, è da precisare che si tratta invece di studi, che potremmo definire “statistici”, non essendovi tra l’altro le condizioni a monte perchè si potesse addivenire ad uno studio “epidemiologico”. E’ mancata una attenta considerazione sul fatto che la componente più rilevante delle Forze Armate è composta da personale del Mezzogiorno, mentre i registri tumori, a cui si è fatto riferimento (tra l’altro pochissimi e non completi), appartengono prevalentemente a zone del Nord Italia. E inoltre, se non vado errato, i dati più aggiornati sono quelli del 1996, mentre il lavoro della Commissione Mandelli è del 2000.

6) E ancora, sempre in rapporto alla questione dei registri dei tumori, i registri di cui disponiamo si riferiscono ai civili e riguardano una gamma di età diciamo tra 0 e 100 anni, mentre i militari impiegati in operazioni, hanno un’età media compresa, diciamo, tra 20 e 45 anni. Ma non è tutto. I militari, per esigenze inerenti il servizio, devono essere sottoposti a visite mediche psicofisiche di idoneità, prima di essere ammessi nel Corpo ed in seguito, sono sottoposti annualmente a visite di controllo. In sostanza, quello che potremmo definire il “valor medio della salute” dei militari, è diverso da quello dei civili, e quindi un confronto diretto non può essere fatto.

Mi limito a queste poche considerazioni, anche se vi sarebbero altri argomenti da considerare. Ma a me pare che alla Commissione debba essere fornito riguardo allo, per così dire, “stato dell’arte” in cui ci troviamo, un quadro più ampio e più completo di ciò che è stato fatto nel campo degli studi. Anche perchè, stabilire dei limiti di validità è assolutamente necessario per definire un punto di partenza per eventuali approfondimenti da compiersi in futuro.

3) I 65.000 militari nei Balcani. Audizione della Prof.ssa Stefania Salmaso, pag. 13 del 17 aprile 2007

La Prof.ssa Salmaso, direttrice del Centro Nazionale di Epidemiologia afferma di aver ricevuto informazioni dalla Direzione della Sanità Militare del Ministero della Difesa del fatto che 65.000 militari che hanno effettuato una missione in Kossovo, anche ripetuta, nelle zone di interesse e precisa che (pag. 15): Su questi 65.000 soggetti vi sono stati 159 casi di tumore segnalati fino al 2005 e 189 fino alla fine del 2006, ma la conferma della diagnosi non è a disposizione, nemmeno per i 2/3 di questo personale”.

Ci si chiede se la Prof.ssa Salmaso ha assunto per buoni questi dati senza alcuna riserva, dati che tra l’altro sono anche di gran lunga superiori a quelli a cui fa cenno la Commissione Mandelli (che variano da 40.000 a 45.000) e che includono erroneamente almeno 12.500 militari che godevano di misure di protezione e quindi non erano da considerarsi nell’ambito di militari che potevano essere contaminati.

Non va dimenticato che prima di iniziare una ricerca statistica (se non epidemiologica - in quanto, a nessun titolo, nemmeno la Commissione Mandelli, può considerarsi uno studio epidemiologico), si pone come primo passo da compiere quello di un’analisi critica dei dati di partenza. Robaccia in entrata significa robaccia in uscita.

Anche la cifra dei 159 e 189 casi dovrebbe essere verificata. Tra l’altro, la relazione Mandelli non prende in considerazione i casi di malformazione alla nascita e patologie neurologiche come il morbo di Ghering. Alcune osservazioni:

1^ Osservazione: il dato è sicuramente eccessivo, come quello già sopra accennato delle 40-45.000 missioni prese in considerazione dalle relazioni Mandelli, anche tenendo conto di quanto affermato nel libro bianco della Difesa, a firma del Ministro Martino, dove si parla di circa 27.000 militari impiegati in tutto il territorio balcanico (comprendente anche Bosnia, Albania, Macedonia). Già in passato l’ANAVAFAF ha chiesto inutilmente spiegazioni in merito. E’ risultato, tra l’altro, che una stessa persona che aveva eseguito più missioni, veniva conteggiata non in quanto sè stessa, ma in quanto soggetto plurimo di varie missioni.

2^ Osservazione: il fenomeno che stiamo indagando non riguarda solo il personale IN MISSIONE ALL’ESTERO, ma riguarda anche il personale che svolge servizio in normali DESTINAZIONI IN ITALIA. Ad esempio quello che presta servizio nei poligoni di tiro e che non è, quindi, in missione. E così pure il personale che viene a contatto con l’uranio impoverito in depositi di automezzi, di vestiario, di armamenti. Tutte questioni completamente dimenticate anche nelle relazioni Mandelli.

3^ Osservazione: si parla del Kossovo (e a parte gli altri paesi dell’area balcanica, si dimentica che la problematica riguarda anche i casi che si sono verificati in Kuwaitt durante la I Guerra del Golfo e in Somalia .

4^ Osservazione: ammesso e non concesso che l’analisi dovesse limitarsi al Kossovo, omettendo tutto il resto, elementari principi metodologici avrebbero dovuto richiedere che l’area venisse divisa in zone di diverso grado di pericolosità in relazione, da una parte alla collocazione del personale, e dall’altra in relazione alla densità dei bombardamenti nelle varie zone. E’ ovviamente privo di senso considerare tutto il territorio come ugualmente sottoposto al rischio. Un italiano che si trovava a Pristina non era esposto come quello che si trovava, ad esempio, a Prizram, nella zona più esposta. Perciò andavano fatte preliminarmente delle divisioni per area geografica in relazione al prevedibile caso di rischio, ma poi andavano ulteriormente determinate delle zone da definire ad altissima, alta, media, bassa, bassissima probabilità di contaminazione, tenendo anche conto delle durate di esposizione a cui era stato sottoposto il personale. Non è evidentemente la stessa cosa trovarsi a 50 metri da una casamatta distrutta, oppure sostarvi dentro e invece trovarsi, ad esempio, a 5 Km dall’obiettivo nel quartier generale.

5^ Osservazione: sono stati messi in un unico calderone militari che prima del novembre 1999 nemmeno conoscevano l’esigenza di misure di sicurezza e quelli che, dopo il 2000 invece, avevano dovuto adottare le misure di sicurezza. E’ stata fatta così una specie di media tra ciliegie e cipolle.

Il gravissimo errore a cui sopra si è del resto già fatto cenno, di aver incluso tra i 40.000-45.000 uomini considerati a rischio in quanto operarono senza misure di protezione, anche almeno 12.000 persone non a rischio, errore finora non ammesso, è stato recentemente riconosciuto dal Prof. Grandolfo nella sua Audizione presso la Commissione.

In sostanza la cifra dei 65.000 è da mettersi massimamente in dubbio. Forse è più prossima alla realtà, per quanto concerne i militari esposti a rischio, una cifra dell’ordine di 6.500 uomini, almeno se si considera un consistente tasso di rischio.

Da rilevare, anche, che qui si parla solo di militari, ma il rischio doveva essere considerato anche per tutti i civili che hanno operato in zone di possibile contaminazione, molti dei quali neppure dopo il novembre 1999 erano a conoscenza di misure di protezione.

Le osservazioni precedenti riguardano solo la base dei dati assunti in partenza e non entrano in merito alle metodologie di trattamento di questi dati. Tema su cui la Prof.ssa Salmaso non si sofferma. In merito alla metodologia di utilizzo dei dati, mi limito a ricordare che nella I^ Relazione Mandelli si applicò la distribuzione di Gauss al posto di quella di Poisson. Un errore evidentemente gravissimo che contribuì a far sì che a conclusione della I^ Relazione e nelle comunicazioni che seguirono si affermasse che nessun parametro a rischio era stato superato. Un risultato, tra l’altro, in stridente contrasto con le disposizioni di sicurezza che a quel tempo erano state già emanate dalla Kfor, la Forza Multilaterale nei Balcani, a firma del Col. Osvaldo Bizzarri, che invece metteva in evidenza i rischi di tumore e di malformazioni alla nascita.

4) POLIGONI. Audizione ten. Minervini pag. 20 e 21 della relazione del 2 maggio 2007.

Si fa un cenno alla problematica relativa ai poligoni di tiro.

Nei nostri poligoni (o quanto meno non in tutti i poligoni) non operano solo militari italiani, operano anche militari stranieri di Paesi della NATO e anche non della NATO che hanno in dotazione armi all’uranio impoverito. Ad esempio nel poligono di Teulada in Sardegna eseguono tiri contro costa Marine che hanno in dotazione armi all’uranio. Questo problema si è presentato relativamente alla Marina USA anche all’estero, ad esempio nel poligono di Vieques presso Portorico.

Inoltre, in alcuni poligoni, come a Salto di Quirra in Sardegna, eseguono sperimentazioni anche ditte civili straniere. E non si sa quali armi usano, nè si conoscono i rapporti che vengono stilati per le singole sperimentazioni. Quanto a questa questione, ne trattò la precedente Commissione di Inchiesta del Senato alla quale non vennero resi noti i rapporti sulle sperimentazioni e la Commissione ebbe a lamentarsi in proposito.

Inoltre, per impedire che vengano usate armi eventualmente all’uranio, avrebbero dovuto essere stati emanati dei bandi internazionali di divieto, ma non risulta che tali bandi siano stati emanati.

Dunque non possiamo avere alcuna certezza circa il non uso dell’uranio impoverito nei poligoni. E vi è quindi un particolare rischio per coloro che sono addetti alle “pulizie delle zone colpite” (gli “zappatori” o “liquidatori”) e comunque dovrebbero operare con le misure di protezione.

Da notare anche che per le operazioni che si svolgono all’estero, in determinati teatri vengono approntati dei poligoni per poter esercitare il personale ed in questi poligoni vengono usate, dai paesi che operano nel teatro, le armi che hanno a disposizione, che potrebbero essere all’uranio.

Quanto ai poligoni del Nord Italia, il ten. Minervini, con riferimento al Nord Italia parla solo del poligono di Aviano. Ma c’è, ad esempio, presso Maniago il poligono del Dandolo (e tra l’altro in questo poligono abbiamo registrato il caso di morte di un militare, A. Garofolo). Il ten. Minervini ci può far sapere la sua opinione in merito?

Il ten. Minervini, a pag. 21 della relazione, cita il caso di personale con incarichi di cuciniere, che è stato impiegato, invece, in compiti di pulizia nel poligono. Non viene presa in considerazione la gravissima questione dell’uso improprio di personale in compiti che non gli spettano e quindi delle responsabilità di chi ha assegnato questi compiti ed in particolare chi ha disposto che il personale operasse a mani nude senza alcuna misura di protezione.

Nei poligoni abbiamo avuto anche dei casi di personale che è deceduto, come il caso dei VAM Serra e Faedda in Sardegna ed il personale ammalato come il militare Cappellano, sempre in Sardegna.

5) Impiego di armi all’uranio in Italia. Audizione del ten. Minervini nella relazione del 2 maggio 2007

Il ten. Minervini afferma che per quanto riguarda l’Italia: “Non sappiamo se abbiamo munizioni all’uranio impoverito. Qualche anno fa questa questione emerse anche su articoli di giornale, come il tempo del 10 febbraio 2001, e del 25 marzo 2001. In questi articoli si afferma che l’Italia disponeva di un lotto di armamento acquistato da Israele. Israele lo avrebbe a sua volta acquistato nel 1985 dalla Germania. Parte del lotto, che venne inviato in Somalia, sembra sia tornato in Italia e in parte custodito nel deposito di Le Casermette a Bibona presso Cecina.

Il Ministro Mattarella, si legge su ‘Il Tempo’, aveva confermato che: “i 5.000 colpi sospetti provenivano da Tel Aviv e potevano essere stati usati in Somalia”. Ma, il ministro aveva precisato che non erano all’uranio. Forse il ten. Minervini potrebbe farci sapere se è al corrente di questa vicenda.

6) Fogli matricolari. Audizione del ten. Minervini pag. 20 e 31 della relazione del 2 maggio 2007

In questa relazione si fa un cenno alla problematica dei fogli matricolari. Non ci si può illudere che i fogli matricolari indichino fedelmente l’attività compiuta dagli interessati. E’ risultato, ad esempio, per esperienze passate, che in alcuni fogli matricolari non venissero segnalate missioni compiute nei poligoni. Quindi, per il caso di personale vivente è necessario che la rispondenza dei fogli matricolari venga sottoposta al loro controllo. Ciò ovviamente non è possibile per il personale deceduto. Inoltre nei fogli matricolari non viene registrata l’esecuzione di quei compiti che non sono svolti “ufficialmente”, compiti “di istituto” (ad esempio le attività di sgombero e pulizia dei poligoni non affidate al personale specializzato come il Genio Guastatori).

Nei poligoni in Sardegna sono stati affidati compiti di sgombra bossoli a personale che risulta addetto alle cucine. A nulla, quindi, serve lo screening di cui si è parlato di un foglio matricolare, che non attesti la reale attività del personale.

Circa le imprecisioni, anche gravi, che l’Associazione che presiedo ha avuto modo, in passato, di rilevare, vorrei citare il caso del Sergente di Marina Cervia, un Sergente con competenze in elettronica, che è scomparso anni fa e di cui non si è saputo più nulla. Aveva frequentato vari corsi di specializzazione, una questione che ovviamente poteva avere interesse nei riguardi dei motivi della scomparsa. Purtroppo, ci venimmo a trovare di fronte a tre fogli matricolari che contenevano indicazioni diverse tra loro circa i corsi frequentati.

Circa la raccolta dei fogli matricolari osservo che per entrare in possesso dei fogli matricolari (tenute presenti tutte le riserve sopra espresse in merito alla loro utilizzabilità), è da ritenersi sufficiente che il Ministero della Difesa impartisca un ordine a tutti i Distretti Militari dipendenti e a tutti i Dipartimenti Marittimi di inviare copia autenticata, oppure l’originale, alla Direzione del Personale della Difesa che potrà renderli disponibili alla Commissione di Inchiesta. Il suggerimento del Sen. Casson si inviare la Polizia Giudiziaria per ottenere i dati, può essere un provvedimento di “ultima ratio” nel caso che il Ministero della Difesa, nonostante la richiesta, non renda disponibile il materiale documentato.

7) Casi di tumori al polmone e al rene. Audizione del Prof. Giorgio Trenta, pag. 27 della relazione del 2 maggio 2007

Il Prof. Trenta afferma che: “Avrebbero dovuto manifestarsi segni di insofferenza renale, effetti che nessuno ha riscontrato dal punto di vista clinico”.

Desidero precisare che tra i casi di morte verificatisi in Italia, per possibile contaminazione da uranio impoverito, c’è quello del Capitano di Corvetta D’Alicandro, deceduto. Quanto ai casi di tumori al polmone, cito, ad esempio, i casi dei Marescialli Pizzamiglio e Fotia, deceduti.

Quanto ai dati dell’UNSCEAR, Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche, da cui, nella pubblicazione del 2000, non risulterebbe la presenza dei linfomi di Hodgkin, è improbabile che l’UNSCEAR abbia potuto tenere conto dei dati italiani forniti dalla Commissione Mandelli. Forse il Prof. Trenta potrebbe precisare su quali dati l’UNSCEAR si è potuta basare.

8) Zone bombardate nei Balcani. Audizione del ten. Minervini, pag. 19 della relazione del 2 maggio 2007

Il ten. Minervini fa cenno al caso della fabbrica di Zastava in Serbia. Ma non cita altri casi di grande interesse. Tanto per fare un esempio di particolare rilievo, potremmo citare il caso dei malati di Bratunac e della fabbrica militare serba di Aadzici. Forse il ten. Minervini è in grado di fornire qualche ulteriore informazione.

9) Continuità di lavoro (il non superamento di sei mesi). Audizione del ten. Minervini, pag. 31 della relazione del 2 maggio 2007

Il ten. Minervini segnala la non opportunità di trattenere il personale per sei mesi in una stessa destinazione.

C’è da osservare in merito che le missioni all’estero si svolgono normalmente con una durata di circa quattro mesi e si ripetono ciclicamente, in alcuni casi. Ma il personale militare, è bene chiarirlo una volta per tutte, NON E’ SOLO QUELLO IMPIEGATO IN MISSIONI, E’ ANCHE IMPIEGATO IN NORMALI DESTINAZIONI. Ad esempio, in un poligono il personale può essere quello impiegato continuativamente per un anno o anche più. E quindi, quanto è stato detto circa un massimo di durata di sei mesi, va riesaminato.

10) Studio del Prof. Nobile. Precisazioni del Sen. Amato, pag. 32 della relazione del 2 maggio 2007

Il Sen. Amato cita uno studio del Prof. Nobile. Se si tratta dello studio del Prof. Nobile, oggetto anche di una pubblicazione in merito, occorre tener conto che questo studio è stato effettuato su personale che applicava le norme di protezione. Ma se si vuole avere un’idea dei rischi dell’uranio non bisogna fare indagini su personale protetto. Ad esempio se si fa un’indagine sulla possibilità di restare bagnati dalla pioggia, è bene evitare che questa indagine venga svolta su chi usa l’ombrello e l’impermeabile.

Se lo studio del Prof. Nobile è quello sopracitato non ha interesse per quanto riguarda una valutazione della pericolosità delle armi all’uranio impoverito.

Falco Accame

Presidente Ana-Vafaf

venerdì 15 giugno 2007

Ecco l'esposto alla Procura di Bari sulle mancate protezioni dei militari

Publichiamo, in anteprima, l'esposto che sarà presentato dall'Ana-Vafaf alla Procura della Repubblica di Bari che indaga sulla presunta violazione da parte degli organismi della Difesa delle norme anti infortunistica in relazione ai casi di militari italiani deceduti o ammalati in seguito alle missioni nei teatri di guerra dove è stato utilizzato l'uranio impoverito.



1) Premessa

I pericoli dell’uranio impoverito possono essere, praticamente, azzerati attraverso l’adozione di semplici misure di prevenzione consistenti nell’uso di maschere per proteggere il naso e la bocca, occhiali, guanti, e tute molto fitte. Queste misure vennero comunicate dalla NATO all’Italia fin dal 1984 (almeno a quanto è dato conoscere allo scrivente).

2) La normativa italiana antinfortunistica esistente ed applicabile in campo militare

a) la Legge 626 del 1994

La legge 626 è valida sia in campo civile che in campo militare. Il regolamento di disciplina impone ai comandanti di adottare tutte le misure di protezione possibili per i propri dipendenti. Si tratta di un incarico che, come tutti gli incarichi affidati ai comandanti, deve essere eseguito pena l’incorrere nell’art. 117 del Codice Penale Militare di Pace che prevede, per la non esecuzione di un incarico, anche pene detentive.

b) La legge 230 del 1995 sulla radioprotezione

La legge 230 stabilisce quali misure protettive occorre adottare in presenza di radiazioni. L’uranio impoverito ha un livello molto basso di intensità radioattiva (soprattutto radiazioni Alfa). Tuttavia, in dosi rilevanti può essere pericoloso alla salute sia sotto l’aspetto fisico che chimico (vedi allegato).

3) La normativa NATO per le basse radiazioni del 2 agosto 1996

La normativa emanata da SACEUR il 2 agosto 1996, che deve essere rispettata da tutti i Paesi della NATO e quindi anche dall’Italia, stabilisce le disposizioni di sicurezza da adottare per le basse radiazioni.

4) Informazioni sulla pericolosità dell’uranio impoverito

Informazioni sulla pericolosità dell’uranio impoverito sono state prodotte non solo nella letteratura scientifica, ma, quanto meno, a partire dai primi anni ’90, e cioè dopo la Prima Guerra del Golfo del 1991, anche dai mass media. Sì che non si può negare che esistesse già una conoscenza prima delle operazioni Restore Hope in Somalia nel 1993, e certamente si aveva una conoscenza dei rischi relativi all’impiego dell’uranio impoverito ben prima della emanazione di norme da parte della Kfor, la Forza Multilaterale nei Balcani (novembre 1999), ed ancor prima che fossero emanate da comandi italiani norme di protezione (Folgore 8 maggio 2000).

Nel novembre 1995 i pericoli dell’uranio impoverito vennero descritti, ad esempio, dalla rivista a diffusione mondiale ‘Life’ che ne fece il servizio di copertina con una fotografia di un bambino nato con gravi malformazioni.

A parte ciò, i Servizi Segreti italiani erano certamente al corrente di notizie più dettagliate relative all’impiego di queste armi e ai loro effetti. E’ dovere, infatti, dei Servizi Segreti Militari raccogliere ogni informazione sugli armamenti che vengono impiegati.

5) Norme emanate dai Reparti USA nel 1993 in occasione dell’operazione Restore Hope in Somalia

Il 14 ottobre 1993 gli Stati Uniti emanarono norme di protezione (con applicazione immediata) in Somalia durante la operazione Restore Hope, operazione a cui ha partecipato anche reparti italiani.

I reparti USA hanno operato anche con 40 gradi all’ombra, con le tute protettive e tutte le altre misure. Ma i nostri reparti, che pure sono stati impegnati in alcune missioni fianco a fianco ai reparti USA, non hanno adottato queste norme di protezione. E ovviamente, non è concepibile che i nostri comandi non si siano chiesti del perchè i reparti USA adottavano le norme (tra l’altro particolarmente impegnative nelle specifiche condizioni del teatro).

6) Mancata localizzazione dell’uranio impoverito in Bosnia

In Bosnia, l’uranio impoverito avrebbe potuto (e avrebbe dovuto) essere localizzato dagli apparati di rilevazione delle squadre NBC (Nucleare, batteriologico, chimico). Tra l’altro, oltre 10.000 proiettili erano stati lanciati dalla NATO in quel teatro.

Purtroppo, data la insufficiente capacità di detezione degli strumenti adottati, le squadre NBC non si accorsero della presenza dell’uranio, come del resto è stato ammesso anche da un rappresentante del CISAM, l’organo militare competente in questa materia, in una audizione presso la Commissione Senatoriale d’Inchiesta del 1° giugno 2005. Dunque si verificò una grave carenza nelle possibilità di protezione dei nostri reparti dovuta, non solo a non esistenza di norme di protezione, ma anche alla mancanza di informazioni sulla situazione in zona operativa.

Quanto alla carenza informativa, è anche da notare che gli aerei che hanno effettuato i bombardamenti con armi all’uranio impoverito in Bosnia, sono decollati per lo più dalla base di Aviano, base al comando di un colonnello dell’Aeronautica Italiana. Dunque la sistemazione degli armamenti all’uranio impoverito sugli aerei non poteva sfuggire all’attenzione del comando e dell’apparato di sicurezza (Carabinieri e SIOS, cioè Servizio Informazioni e Operazioni Segrete e Militari). Inoltre, l’impiego delle armi all’uranio impoverito, era certamente precisato negli ordini di operazione impartiti agli aerei e altresì figurava nei rapporti di operazioni compilati dopo il volo. Non poteva, dunque, sfuggire che negli spazi in cui operava il nostro personale a terra si trovavano, tra l’altro, obiettivi colpiti, che sono fonte concentrata di emanazione di pulviscolo sottile all’uranio impoverito.

7) Conclusioni
Appare chiaro da quanto sopra che misure di protezione avrebbero dovuto essere state adottate ben prima della loro emanazione da parte del comando italiano della Folgore l’8 maggio 2000, ed anche prima della emanazione, il 22 novembre 1999, di norme per i reparti operanti nei Balcani.

giovedì 14 giugno 2007

Il militare rimpatriato dal Libano trasferito dal Celio ad una struttura specializzata

(Vittimeuranio.com) Desta preoccupazione l’improvviso trasferimento dall’Ospedale Militare del Celio ad una sede civile specializzata nel settore oncologico del giovane calabrese ventitreenne tornato dal Libano gravemente ammalato. Ma non poteva esservi trasferito immediatamente? Perchè si è atteso tanto? Ancora oggi non si conosce la diagnosi.

Stupisce il completo silenzio del Ministero della Difesa, così prodigo normalmente di informazioni sul Libano. E sorgono non pochi inquietanti interrogativi: come è stato possibile che ci si sia accorti solo in una fase così avanzata della patologia? Quali test sono stati eseguiti? Quali visite periodiche – tra quelle previste per il personale fuori area – sono state effettuate? Quali norme di protezione sono state adottate in Libano?

Sembra purtroppo che a nulla sia servita la triste esperienza finora fatta (50 decessi per possibile contaminazione da uranio impoverito) circa la esigenza di adottare tempestivamente tutte le precauzioni necessarie? Non è stato sufficiente l’aver adottato, con sei anni di ritardo, le norme di sicurezza, rispetto a quando le avevano emanate i reparti USA?

C’è da chiedersi ora, se la Commissione di Inchiesta del Senato possa fare chiarezza su quanto accaduto.

Falco Accame

Presidente ANAVAFAF

martedì 12 giugno 2007

A Roma si presenta il "Libro Nero", con la denuncia degli ultimi casi di morte

Si parlerà dell'uranio impoverito e delle vittime del "presunto killer" alle quali è dedicato "Il Libro Nero" curato dall'Ana-Vafaf, aggiornato con gli ultimi casi di militari italiani morti dopo il rientro dai teatri di guerra, che saranno denunciati nel corso della conferenza stampa di presentazione del libro.

L'evento, organizzato in collaborazione con il nuovo portale Vittimeuranio.com, si terrà Martedì 19 Giugno, a partire dalle ore 11:00, presso la "Casa del Cinema", Largo Marcello Mastroianni 1, a Roma.

Prevista la partecipazione di Falco Accame, presidente dell'Ana-Vafaf, con la quale segue la questione dal 1993, del regista Giuseppe Ferrara e di alcuni familiari dei caduti.

Il dossier, contenente le storie delle vittime, si integra al precedente testo "Uranio impoverito: la verità", Giulia Di Pietro intervista Falco Accame, edito da Malatempora l'anno scorso.
Il lavoro è "dedicato a coloro che sono morti perchè ignoravano un pericolo che altri conoscevano" secondo quanto si legge sulla copertina che recita: "ognuno di loro non è solo un numero. Ha un nome, gli appartiene un briciolo di storia."

info: posta@vittimeuranio.com

lunedì 11 giugno 2007

Gianluca Anniballi al Rotocalco di Enzo Biagi

Questa sera a partire dalle ore 23:25 su Rai Tre andrà in onda l'ultima puntata stagionale del Rotocalco Televisivo di Enzo Biagi. All'interno del programma sarà trasmesso un servizio dedicato alla storia di Gianluca Anniballi, reduce dal Kosovo e possibile vittima dell'uranio impoverito.

www.rotocalcotelevisivo.rai.it

sabato 9 giugno 2007

Libano, il Comitato scientifico internazionale "New Weapons": riaprire le indagini sulle armi illegali

(Vittimeuranio.com) Verificare se in Libano siano state utilizzate armi illegali. Dal momento che sarebbero stati accertati alcuni casi di "morti sospette". Diverse testimonianze infatti riferirebbero sull' uso di armi contenenti uranio impoverito, di armi al fosforo bianco e di esplosivi aria-combustibile. Alcuni testimoni avrebbero anche attirato l'attenzione della Commissione di indagine delle Nazioni Unite su lesioni e ferite anormale, ad esempio cadaveri completamente carbonizzati ma intatti, o corpi umani che si sono semplicemente vaporizzati. Tutto questo lo chiede il comitato scientifico internazionale "New Weapons" che ha scritto al UNCHR – sessione giugno 2007 - delle Nazioni Unite.

Una lettera aperta, quella degli studiosi, per chiedere la riapertura delle indagini sulle armi utilizzate dall'esercito israeliano nella guerra in Libano nell'estate 2006 e negli attacchi a Gaza nel 2006.

Ma anche la richiesta della creazione di 2 consigli composti da medici internazionali e indipendenti, libanesi e palestinesi:
a) il primo con il compito di riesaminare le affermazioni relative all'uso di armi illegali;
b) il secondo con il compito di effettuare esami e prove sul campo per la valutazione dei rischi per la salute e la geno-tossicità nel sud del Libano.

Sul sito www.newweapons.org è possibile visionare la lettera aperta e altro materiale di grande interesse.

Ecco i firmatari dell'appello alle Nazioni Unite

Prof. Paola Manduca, genetista, università di Genova, Italia
Prof. Mauro Cristaldi, biologo, università di Roma, Italia
Prof. Luisanna Ieraaldi, biologo, università di Roma, Italia
Prof. Emilio del Giudice, fisico, INFN, Milano, Italia
Prof. Angelo Baracca, fisico, università di Firenze, Italia
Prof. Alberto Tarozzi, Sociologo, università di Bologna, Italia
Prof. Francesco Spinazzola, MD, Istituto superiore di Sanità, Roma, Italia
Prof. Gianni Tognoli, MD, direttore Mario Negri sud, Italia
Prof. Massimo Zucchetti, fisico, università di Torino, Italia
Dott. Ali Mansouri, chirurgo d'urgenza, Complesso ospedaliero Sud, Sidon, Libano
Dott. Bachir Cham, chirurgo, Complesso ospedaliero Sud, Sidon, Libano
Dott. David Halpin, FRCS,
Dott. Ibhraim Faraj, chirurgo, ospedale di Al Haram, Tire, Libano
Dr. David Halpin, MD, FRCS, chirurgo ortopedico e traumatologico, Regno Unito
Dott. Chris Busby, università di Liverpool, facoltà di medicina, Regno Unito

Fabio de Ponte, giornalista indipendente
Monica Maurier, filmaker
per
gruppo di lavoro newweapons *, 23 maggio 2007
*newweapons è un gruppo internazionale di scienziati, medici e professionisti dei media, con base in Italia.
www.newweapons.org
persona di contatto:
Prof. Paola Manduca paolamanduca@gmail.com

venerdì 8 giugno 2007

Irradiazioni naturali e irradiazioni provocate

Le irradiazioni naturali sono esclusivamente delle irradiazioni gamma provenienti dalla profondità del suolo. Queste irradiazioni gamma non sono formate da materie che produce fallout.

Se l’irradiazione naturale fosse composta da particelle materiali sarebbero mortali. Tuttavia, le industrie nucleari utilizzano dei minerali radioattivi naturali per produrre metalli radioattivi pesanti come l’uranio 238 o UI.

Quando le industrie belliche impiegano un metallo pesante radioattivo come l’uranio 238 per inserirlo nei proiettili o nelle bombe, accade, al momento dell’esplosione (più di 3000°C) un fenomeno di frazionamento del U238 in nanoparticelle (miliardesimo di metro).

Queste particelle sono così divise e così piccole che rimangono sospese nell’aria come un gas. Quest’aria contaminata dalle particelle metalliche radioattive può essere respirata (con gravissimi danni) da tutte le creature viventi.

Maurice-Eugène ANDRE

Capitano-Commandante in pensione,
ufficiale NBCR a funzione esclusiva, (nucleare, biologica, chimica, radiologica).

giovedì 7 giugno 2007

Uranio in Libano: come verificare i rischi

La volontà espressa dalla Presidente della Commissione Uranio Impoverito del Senato, Sen. Lidia Menapace, che è auspicabile sia anche quella dell’intera Commissione, di una verifica delle condizioni ambientali in Libano, è un segnale importante che bisogna cercare di rendere possibile, non sorvolando però sulle difficoltà che vi sono connesse.

Si tratta di mettere in atto una operazione che avrebbe, peraltro, dovuto essere stata compiuta prima dell’invio del contingente in Libano, facendosi dare dagli Israeliani la carta degli obiettivi colpiti, soprattutto per quanto riguarda le postazioni e depositi dei missili degli Hezbollah, perchè gli obiettivi colpiti sono delle possibili fonti di emissione di particelle radioattive.

Se non si conoscono le posizioni di questi obiettivi è ovviamente impossibile fare dei rilevamenti. Non si può certo ispezionare sistematicamente tutto il territorio coinvolto, perchè occorrerebbero, data la limitatissima portata esplorativa degli strumenti, delle rilevazioni che durerebbero molti anni. Occorre, inoltre, che coloro che sono destinati alle verifiche, possano recarsi, in condizioni di sicurezza, e quindi generalmente con adeguate scorte, in prossimità degli obiettivi colpiti. Queste sono alcune delle premesse affinchè si possa effettuare un controllo sui possibili rischi.

Non dobbiamo, in particolare, dimenticare ciò che accadde in Bosnia. Il Ministro della Difesa pro tempore, On. Mattarella, dichiarò in Parlamento, nel settembre del 2000, in base alle risultanze del lavoro esplorativo delle squadre NBC, che in Bosnia non era stato usato l’uranio impoverito. La NATO dovette smentirlo dichiarando che in Bosnia erano stati gettati oltre 10.000 proiettili all’uranio impoverito.

Purtroppo, i nostri strumenti di misura non erano stati in grado di rivelare la presenza dei proiettili. In merito, il rappresentante del CRESAM (Centro Ricerche Esperienze e Studi per le applicazioni militari, ex CISAM, ex CAMEN, Centro applicazioni militari energia nucleare) Dott. Benedetti, dichiarò, audito dalla Commissione Senatoriale di Inchiesta dell’Uranio impoverito il 1° giugno 2006: “Abbiamo un rammarico dal punto di vista scientifico: per vicissitudini interne al CRESAM, a sua volta erede del CAMEN, non ci siamo accorti dell’uranio depleto in Bosnia”.
Circa lo strumento di rilevazione impiegato, l’RA 141, il Dott. Benedetti affermò che: “può rilevare proiettili di uranio solo nelle immediate vicinanze, diciamo qualche centimetro”.

Naturalmente il fatto che gli esperti non si fossero accorti, prima di iniziare le operazioni, che lo strumento di misurazione era del tutto inidoneo, è un fatto di enorme gravità, anche perchè ha indotto il Ministro della Difesa a esprimere false valutazioni in Parlamento.

Il fatto, tuttavia, dimostra che occorre personale altamente esperto, qualificato e addestrato per fare eseguire queste misurazioni. Oggi esistono degli strumenti migliori dell’RA 141 ma comunque la possibilità di rilevazione è sempre vincolata da brevi distanze dall’obiettivo.
Dunque, se non si conoscono preventivamente le posizioni degli obiettivi, è impossibile eseguire verifiche, almeno in termini ragionevoli. Bisogna, dunque, che gli Israeliani ci rendano note le mappe degli obiettivi colpiti prima di poter iniziare qualsiasi operazione.

Occorre, poi, che il personale che dovrebbe effettuare queste misurazioni, sia scelto da personale altamente competente anche più, vista l’esperienza negativa passata, di quello finora impiegato con profonde competenze in fatto di radioprotezioni e adeguate conoscenze di fisica nucleare.

Devono essere, inoltre, autorizzati e pianificati a livello internazionale, tutti gli spostamenti occorrenti, data la condizione di possibile ostilità esistente nel teatro.

Il problema non è certo solo quello di vedere se nella zona di operazione vi sono discariche fumanti, le quali per fortuna si vedono ad occhio nudo, senza bisogno di alcuno strumento.
Purtroppo il problema è più complesso e riguarda una serie di sfaccettature, tra cui alcune delle quali sopraindicate.

Falco Accame
Presidente ANAVAFAF

mercoledì 6 giugno 2007

Primo campanello d'allarme dal Libano. E' calabrese il militare rimpatriato

“Un tumore a rapido sviluppo ha colpito un giovane militare calabrese rimpatriato per questo tre giorni fa dal Libano. E ciò nel più totale silenzio da parte del Ministero della Difesa, nonostante si tratti di un serio campanello d’allarme, dal momento che i nostri militari sono stati inviati senza misure di protezione per l’uranio impoverito”. Lo dichiara, al sito Vittimeuranio.com, Falco Accame presidente dell'associazione delle vittime Anavafaf.

Accame aggiunge che “il ragazzo sarebbe stato probabilmente necessario farlo rientrare prima, appena apparsi i primi sintomi, ma c’è da chiedersi se ai nostri militari in Libano vengono effettuati periodicamente e a breve distanza almeno i test sulle urine”.

“La specificità del rapido sviluppo del tumore -dice Accame- è una condizione rilevata in passato più volte dall’associazione. Infatti alcuni casi che hanno sorpreso i medici curanti (ci riferiamo a vicende non più coperte da privacy perché venute alla luce anche sulla stampa) sono ad esempio quelle del maresciallo Umberto Pizzamiglio di Verona, del maresciallo Antonio Fotia di Padova, del paracadutista Aniello D’Alessandro di Salerno. Si tratta di una peculiarità che forse la scienza medica potrà un giorno approfondire”.

“Il pericolo in Libano -secondo l'ex parlamentare- non è certo costituito dalla radioattività al suolo che incide soprattutto sulle falde acquifere, su cui sembrano essersi concentrate tutte le analisi finora eseguite, dalle quali abbiamo appreso che questa radioattività è inferiore in Libano rispetto a quella esistente in Italia. Almeno per i nostri militari che bevono acqua minerale la questione è di scarso interesse”.

Le forme di pericolo sono per Accame “piuttosto legate al venire in contatto con obiettivi come bunker, casematte, postazioni blindate, come quelle con cui erano protetti i missili degli Hezbollah, che non si può escludere siano state colpite da armi all’uranio impoverito o addirittura armi all’uranio naturale o arricchito. E’ il sostare in prossimità di questi obiettivi, che divengono sorgenti di emanazione di “particolato” radioattivo (e anche chimicamente pericoloso) da cui deriva il rischio dei tumori”.

“Non dobbiamo -conclude- dimenticare a questo proposito quanto accadde nella prima Guerra del Golfo nel 91, in Kuwait, dove si verificarono casi di tumore tra i nostri militari che si erano recati a visitare carri armati irakeni colpiti dalle armi USA ad uranio impoverito e raccolti tutti assieme in campo deposito”.

Menapace: "In Libano un consulente della Commissione di inchiesta"

"La nostra commissione è stata allertata da tempo sui possibili pericoli dei nostri militari di stanza in Libano. Un nostro consulente ed esperto di balistica, andrà presto in Libano per verificare la situazione".

Così Lidia Menapace (Prc), presidente della commissione di inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, commenta la notizia del rimpatrio di un militare italiano di stanza in Libano, colpito da tumore forse scatenato da una contaminazione da uranio.

"Credo che il primo incarico che daremo di un'indagine fuori dal territorio nazionale - aggiunge la Menapace - sarà questo, io spero che il nostro consulente non trovi niente ma se dovesse trovare qualcosa, forse è possibile intraprendere un rapporto collaborativo fra la commissione e le autorità militari che hanno subito rimandato a casa il militare colpito da tumore".

lunedì 4 giugno 2007

Uranio: nasce portale vittime per denunce e approfondimenti

(ANSA) - ROMA, 4 GIU - Nasce vittimeuranio.com, nuovo portale interamente dedicato al tema dell'uranio impoverito, ideato e curato da Francesco Palese (foto).

'Lo scopo del sito - spiega Palese - e' quello di costituire un punto di incontro permanente e di alto profilo fra tutte quelle personalita' che a vario titolo si occupano della questione, rappresentando al tempo stesso, attraverso l'interattivita' propria del mezzo, un efficace strumento di denuncia per chi continua a soffrire nel silenzio'.

Lo strumento si avvale dei contributi di Falco Accame, presidente dell'associazione delle vittime Anavafaf, del fisico nucleare Evandro Lodi Rizzini, direttore del dipartimento di Fisica e Chimica dell'Universita' di Brescia, di Franco Silvestris, direttore della scuola di specializzazione in Oncologia dell'Universita' di Bari, dell'ufficiale belga esperto Nbcr Maurice Eugene Andre' e del docente italiano Paolo Scampa, rispettivamente presidente e vicepresidente dell'Aipri, associazione internazionale per la protezione dai raggi ionizzanti, dell'avvocato Bruno Ciarmoli, da Carlo Calcagni, veterano e capitano dell'esercito e Gianluca Anniballi, ex militare reduce dal Kosovo. (ANSA).

Uranio Impoverito: la verità. Scarica gratis il libro di Falco Accame

Gratis, per i nostri lettori, il libro-inchiesta scritto nel 2006 dal Presidente dell'Anavafaf Falco Accame. Un volume da scaricare leggere e conservare. >>> SCARICA IL LIBRO

Iraq: nel sud tumori aumentati del 20% dal 2005

Nel sud dell'Iraq, le persone affette di tumore ai seni e leucemia causate principalmente dalle scorie di uranio impoverito diffuse sul territorio, sono aumentate del 20% rispetto al 2005.

Lo rivela un recente studio sanitario iracheno, come riferisce stamani il quotidiano palestinese al Quds al Arabi. Stando ai dati forniti dal quotidiano arabo, negli ospedali delle province meridionali irachene, "nascono ogni giorno tre neonati senza arti".

Secondo i dati forniti dall'ufficio Igiene di Bassora, rispetto al 2005, sarebbero "aumentati del 22% i casi di leucemia, e del 19% i tumori al seno" nel sud del paese. Specialisti, interpellati da al Quds al Arabi, attribuoscono il fenomeno a "conseguenze di lungo corso provocate delle guerre che hanno lasciato sul territorio residui di testate belliche anti-corazzate fabbricate con l'uranio impoverito", ed alla "diffusione di prodotti agricoli non sicuri".

Secondo lo specialista dottor Hussein Abdul Rahim, dell'ufficio Igiene di Bassora, tra le cause dell'"alta mortalità tra i malati", ci sarebbero la "scarsità di attrezzature per la chemioterapia" e il "grande esodo" dei medici iracheni all'estero.