lunedì 18 giugno 2007

Tutte le critiche alla Commissione di inchiesta

Pubblichiamo di seguito tutte le osservazioni relative alle audizioni degli esperti fin qui tenute alla Commissione di inchiesta sull'uranio impoverito. Potete inviare i vostri commenti all'indirizzo: posta@vittimeuranio.com


1) Nano particelle. Audizione della dott.ssa Antonietta M. Gatti del 27 marzo 2007

Se ho inteso bene il resoconto dell’Audizione, la dott.ssa Gatti nella sua esposizione ha accantonato la possibilità che alcune delle patologie di cui si discute, possano essere derivate dall’uranio impoverito e che invece, occorra concentrarsi sugli effetti della nano particelle nelle quali non si riscontra la presenza di uranio impoverito.

Mi pare che ciò coincida con quanto si legge nell’articolo pubblicato sul quotidiano ‘La Stampa’. Se ho ben capito la teoria della dott.ssa Gatti (della quale ho avuto modo, in passato, di leggere ricerche in campo odontoiatrico, sempre attinenti alla questione delle “piccolissime particelle”), la stessa dott.ssa Gatti ha esaminato le conseguenze dell’uranio “a caldo”, cioè quando un proiettile all’uranio impatta su una superficie solida, sviluppando temperature dell’ordine dei 3000 gradi e anche con effetti pirofori che danno luogo ad una “sublimazione” del materiale.

Nella teoria della dott.ssa Gatti, l’uranio viene inteso, per usare un termine sociologico, come il “mandante”, il quale resta occulto, mentre devolve l’azione ai “mandati” che sarebbero numerosi metalli, come lo stronzio ed altri.

Dunque, sempre in relazione a questa metafora sociologica, l’uranio sarebbe una specie di “Totò Riina” che non compare mai nei delitti di mafia effettuati dai suoi “mandati”.

Infatti, la dott.ssa Gatti sostiene di non aver trovato traccia dell’uranio impoverito nei reperti da lei esaminati, ma sempre altri metalli. Il rapporto tra uranio impoverito e tumori quindi non esisterebbe. E per quanto riguarda il rapporto tra gli altri metalli e l’insorgere di tumori, malformazioni alla nascita, patologie neurologiche, ecc. non vi sarebbero prove ed il legame resterebbe di tipo probabilistico.

Ma il punto che mi preme mettere in evidenza è che la teoria della dott.ssa Gatti riguarda la pericolosità dell’uranio per così dire “a caldo”, anzi potremmo dire “a caldissimo”, visto le temperature che si sviluppano.

Ma quanto sopra non copre affatto la situazione di rischio presentata dall’uranio e specificamente ribadita in tutte le norme di protezione che dal 1984 sono state individuate. Infatti, se la teoria della dott.ssa Gatti si può prestare ad esaminare la pericolosità nella situazione di impatto di un proiettile contro un ostacolo, non si presta a valutare il pericolo “a freddo” nel caso di maneggio di proiettili all’uranio impoverito o, ad esempio, barre di compensazione degli impennaggi degli aerei.

Pensiamo, ad esempio anche al maneggio di proiettili che si sono conficcati nel terreno da parte di civili (spesso bambini) nelle località bombardate. Pensiamo al maneggio di proiettili nei depositi di munizioni, o al maneggio di residuati di proiettili in Italia e all’estero.

Mi preme menzionare il fatto che a proposito del maneggio di munizioni e dei pericoli relativi, vi è stata in passato una polemica di cui riferiscono gli allegati, che si è sviluppata nel deposito delle “Casermette” a Bibbona presso Cecina. Gli artificieri che dovevano ripulire dei proiettili dalla ossidazione che si era verificata, chiesero un intervento della locale ASL perchè erano preoccupati per la loro salute.

Questa è, ad esempio, una situazione in cui la teoria della dott.ssa Gatti è inapplicabile perchè è una situazione di rischio “a freddo” e non “a caldo” e riguarda lo strato di ossidazione che si sviluppa sulla superficie del metallo. Qui non sono in gioco nè altri metalli nè “mandanti occulti”. Ma perchè una teoria possa ritenersi valida, deve poter essere applicabile in tutte le situazioni.

Desidero, infine, precisare che quelle che, almeno al sottoscritto, risultano essere le prime norme di protezione inviate all’Italia in ambito NATO, sono quelle del 1984. E’ proprio in queste norme di protezione che si precisano i provvedimenti da adottare, di fronte ai pericoli dell’uranio impoverito, e che sono costituiti dall’uso di guanti, tute, maschere, occhiali. Queste norme furono riprese anche in un articolo del quotidiano ‘Metro’, a firma della giornalista Stefania Divertito.

Le norme del 1984 si riferiscono specificamente ai pericoli che presenta il maneggio delle barre di uranio che, come sopra accennato, vengono usate negli impennaggi degli aerei militari e di quelli civili. Uso che è stato, da qualche anno, proibito.

Può forse essere non inutile ricordare da che cosa nacque un primo allarme sulla pericolosità dell’uranio impoverito, dopo quello che era stato dato in Australia negli anni ’50. In Giappone si verificò che, al decollo, un aereo si schiantasse al suolo producendo un furioso incendio che risultava inspiegabile agli esperti. Dopo attenti studi si dedusse che questo incendio anomalo si era sviluppato per via dell’effetto piroforo delle barre all’uranio contenute nei timoni di direzione, quando si sviluppò l’incendio. Quanto avvenuto in Giappone si ripetette anche, su scala minore, in Italia, presso l’aeroporto della Malpensa. L’esito (all’italiana) fu il licenziamento del Vigile del Fuoco che aveva denunciato il fatto.

In conclusione, mi sembra che non ci si possa fondare sulla teoria della dott.ssa Gatti indipendentemente dal fatto che possa o meno dimostrare la pericolosità dell’uranio impoverito in quanto tiene conto solo della problematica a caldo e non di quella a freddo.

Mi pare anche che, pur nei limiti che riguardano la situazione a caldo, la teoria non porti ad affermare nè che l’uranio impoverito possa essere la causa dei tumori, e neppure il contrario come hanno cercato di sostenere coloro che attribuiscono ai vaccini e non all’uranio la causa delle patologie, dimenticandosi che queste patologie si sviluppano non solo all’estero, al personale a cui sono state fatte particolari vaccinazioni, ma anche sul territorio nazionale per militari e anche per civili, come è apparso per esempio, in alcuni poligoni della Sardegna e nelle zone adiacenti.

Si ritiene, perciò necessario, un maggior approfondimento sulla questione anche nell’ambito della stessa commissione di indagine e negli appropriati organi competenti nel campo scientifico.

2) Errori Commissione Mandelli. Audizione del Prof. Grandolfo, pag. 11 della relazione dell’11 Aprile 2007.

Il Prof. Grandolfo muove due critiche alle Relazioni Mandelli. In particolare a pag. 11 afferma: “L’altra critica, anche questa sensata, riguarda il fatto che non avendo i nostri soldati, per un certo periodo di tempo, ricevuto indicazioni precise circa particolari modalità di protezione dall’eventuale contaminazione da uranio, il confronto era stato fatto prendendo a base la popolazione militare nel suo complesso. Allora sono state individuate due distinte “coorti” di militari: una precedente l’adozione delle dotazioni di protezione, e una successiva. I numeri sono cambiati aritmeticamente, ma la sostanza no. In questo senso, neppure con metodiche diverse, e con tutte le limitazioni che volete, abbiamo sempre rilevato un eccesso di linfomi di Hodgkin”. In relazione a queste affermazioni, formulo le seguenti osservazioni:

La critica di cui sopra, ritenuta ora sensata, fu da me sollevata anche nel corso del Convegno che si tenne presso l’Istituto Superiore di Sanità. Quando io sostenni questa critica (come possono testimoniare molti dei presenti), fu affermato dai rappresentanti dell’Istituto di cui il Prof. Grandolfo fa parte, che questa critica era del tutto infondata e, anzi, vi fu un tentativo (assai sgradevole) di togliermi addirittura la parola. Cercherò, allora, di precisare la critica che mossi nei suoi termini esatti. Nelle tre Relazioni Mandelli, il numero dei potenziali militari contaminabili in Bosnia e Kossovo, è un numero variabile, ma sempre oltre i 40.000. Io affermai che da questa cifra andavano tolti i circa 12.000 militari che avevano operato, dopo il 2000, ed avevano l’ordine di adottare le norme di precauzione che erano state varate il 22 novembre 1999. Io sostenni quindi, che almeno 12.000 persone dovevano essere tolte dal conteggio, perchè essendo protette costituivano una categoria protetta diversa da quella dei militari non protetti. Affermai questo già a partire dalla Prima Relazione, nella quale già questo errore era contenuto. Occorreva togliere dal conto quasi un terzo del personale che era stato preso in considerazione. Credo sia evidente a tutti, per fare un esempio, che non è la stessa cosa parlare di un morto su 20 casi o su 30 casi.

Il punto è che andavano rifatti i “conti”, perchè cambiano i parametri di rischiosità del personale. Ciò è ancora, attualmente necessario, per consentire alla Commissione, recentemente costituitasi, di poter lavorare con dei dati più realistici.

Non entro qui nel merito del numero dei 40.000 potenziali esposti, un numero assolutamente aberrante rispetto alla realtà, perchè questo numero è stato fornito alla Commissione dall’esterno, credo dalla Direzione di Sanità. Mi è anche stato detto che, a proposito di questi numeri e dei dati forniti, vi furono delle contestazioni tra chi i dati aveva ricevuto e chi li aveva forniti. Ma questo è un altro discorso, anche se certamente è finalmente necessario stabilire, non solo il numero complessivo di potenziali contaminati, ma anche individuare differenziate zone di rischio alla esposizione. Non posso, infatti, considerare egualmente esposto un militare che si trova a pochi metri da un obiettivo colpito e un militare che si trova ad un chilometro, a dieci o a cento chilometri di distanza. Occorre, cioè, stabilire, in base alle posizioni in cui si trovavano i nostri militari (che sono note in base ai rapporti dell’attività quotidiana dei reparti) e la posizione degli obiettivi colpiti.

Credo che, mentre per il Kossovo la NATO abbia fornito delle indicazioni sia pure imprecise, non esistono ancora, ma posso sbagliarmi, quelle relative alla Bosnia.

Comunque, indicazioni più precise si possono ricavare dai rapporti di volo degli aerei che sono stati usati nei bombardamenti in Bosnia e Kossovo attraverso quanto risulta dai rapporti di volo.

Se si vuole approfondire la materia occorre, finalmente, entrare in possesso sia dei dati relativi alle posizioni dei bombardamenti, sia dei dati relativi alle posizioni dei nostri reparti, per avere una cognizione delle distanze tra obiettivi colpiti e uomini sul campo. Conta, però, anche la “distanza nel tempo”, perchè non c’è lo stesso rischio nel trovarsi presso un obiettivo colpito lo stesso giorno del bombardamento, un anno dopo o cinque anni dopo.

Inoltre, il numero di 40.000 persone presenti sui teatri operativi della Bosnia e del Kossovo è anche molto superiore al numero complessivo dei militari impiegati nei Balcani che, secondo l’ultimo libro bianco della Difesa, è di 27.000.

Merita ancora un accenno il fatto che nostri reparti hanno operato in Albania e Macedonia, al confine con la zona più bombardata del Kossovo, la zona meridionale, e che la Commissione Mandelli, la quale aveva ricevuto come mandato di indagare sulle presenze nei Balcani, ha omesso di considerare le presenze in Albania e Macedonia, dove, invece, abbiamo avuto vari casi di contaminati e anche di morti. Tra i casi più noti quello del Caporal Maggiore Melis e del Capitano Grimaldi. La relazione Mandelli andrebbe quindi integrata delle presenze in Albania e Macedonia, per quanto concerne i Balcani. Ma, naturalmente, i casi di contaminazione non si sono avuti solo nei Balcani, ma anche nella I^ Guerra del Golfo (Kuwait) e nella Somalia e anche in Italia, nei poligoni e in depositi di materiale. Ma su questo tornerò in seguito.

In un secondo punto dell’Audizione si afferma: “ABBIAMO SEMPRE RILEVATO UN ECCESSO DEI LINFOMI DI HODGKIN”. Occorre in proposito distinguere tra eccesso che non influisce sui risultati ed eccesso che influisce sui risultati. Al termine della Prima Relazione, ed in particolare in sede della conferenza stampa, conferenza a cui ero personalmente presente, si affermò, di fronte a tutti i mass media, che nessun parametro critico di rischio era stato superato, anche se qualcuno avvicinato. Comunque, come noi tutti ricordiamo, il messaggio che passò attraverso tutti i mass media al termine della Prima Relazione, fu che in pratica non esistevano pericoli. Si trattò di un messaggio che credo abbia influenzato le Commissioni mediche nel tendere a non concedere cause di servizio, e certamente ha affievolito l’attenzione per una rigorosa applicazione delle norme di protezione ed ha avuto anche delle conseguenze negative legate al fatto che molti reduci da operazioni cui avevano avuto la possibilità di incorrere nella contaminazione da uranio impoverito, non hanno posto sufficiente attenzione sul fatto che la loro malattia poteva dipendere da questa contaminazione. E quindi non si sono avute delle segnalazioni tempestive, la cui importanza è ovvia.

L’eccesso dei linfomi di Hodgkin, avente un risultato incidente sulla pericolosità, avvenne solo dopo che fu corretto, nella Prima Relazione della Commissione Mandelli, un altro gravissimo errore da cui questa era affetta e cioè il fatto che si era basata, nelle calcolazioni, sulla “distribuzione di Gauss” al posto di quella di “Poisson”. Solo nella Seconda Relazione, essendo stato riconosciuto questo errore e presa quindi in considerazione la “distribuzione di Poisson”, emerse immediatamente quell’eccesso dei linfomi di Hodgkin che non era emerso nella Prima Relazione e che si manifestò ancor più chiaramente nella Terza Relazione. E’ importante che la Commissione conosca esattamente ciò che si è verificato nel passato.

Desidero ricordare anche la necessità di precisione circa l’entità dei casi di decesso e di malattia presi in considerazione. Per quanto riguarda i casi di decesso, mi pare che il Ministero della Difesa si sia fermato a 28, mentre credo siano molti di più, e ciò anche in considerazione dei seguenti fatti:

1) la Commissione Mandelli si è limitata, come sopra accennato, a considerare la situazione in Bosnia e Kossovo, tralasciando l’Albania e la Macedonia, aree nelle quali, per limitarsi ai casi di decesso, abbiamo avuto quelli sopracitati del Capitano Grimaldi e del Caporal Maggiore Melis. Non è stata presa in considerazione la situazione della Somalia dove, sempre limitandosi ai casi di decesso, vi sono stati quelli di Pizzamiglio, D’Alicandro, Marini. E’ stata altresì non presa in considerazione la Guerra del Golfo del 1991, dove, sempre limitandosi ai casi di morti, vi sono stati i casi di Ceccarini e Boscarini. Inoltre, la Commissione non ha preso in considerazione (ma questo non era previsto nel suo mandato, erroneamente formulato) il caso delle morti in Italia nei poligoni e nei depositi. Potremmo citare, sempre limitandoci ai casi di morte, quelli di Serra, Faedda, Pintus, Bonincontro, Vargiu e Inghilleri.

2) La Commissione Mandelli si è occupata solo dei casi di tumore. Ma questi non sono solo i casi che dovevano essere presi in considerazione, perchè vi sono stati casi altrettanto gravi, come quello della nascita di bambini malformi, o quello di patologie neurologiche (Morbo di Gerhing e simili).

3) La Commissione Mandelli non ha preso in considerazione il pericolo chimico che è, ripetiamo, UNA CERTEZZA e i danni che ha procurato (soprattutto gravi danni ai reni).

4) La Commissione Mandelli necessita di verifiche sperimentali. Non basta solo l’aspetto di valutazione statistica, ma occorrono anche conferme sperimentali di vario tipo. In proposito, potremmo accennare al fatto che era, ed è, certamente possibile approfittare dei tests che debbono essere eseguiti circa la resistenza delle blindature e corazzature di mezzi militari, a fronte della pericolosità dei proiettili all’uranio impoverito, per predisporre tutta una serie di sperimentazioni collaterali per la raccolta di altri dati. Fu il Prof. Evandro Lodi Rizzini, della Università di Brescia, Presidente della Facoltà di Chimica e Fisica e sperimentatore presso il CERN di Ginevra, mettere in evidenza (intervista al Corriere della Sera) la esigenza di una adeguata sperimentazione collaterale agli studi teorici.

5) Dal punto di vista metodologico, pur essendosi parlato, a proposito delle Relazioni Mandelli, di studi “epidemiologici”, è da precisare che si tratta invece di studi, che potremmo definire “statistici”, non essendovi tra l’altro le condizioni a monte perchè si potesse addivenire ad uno studio “epidemiologico”. E’ mancata una attenta considerazione sul fatto che la componente più rilevante delle Forze Armate è composta da personale del Mezzogiorno, mentre i registri tumori, a cui si è fatto riferimento (tra l’altro pochissimi e non completi), appartengono prevalentemente a zone del Nord Italia. E inoltre, se non vado errato, i dati più aggiornati sono quelli del 1996, mentre il lavoro della Commissione Mandelli è del 2000.

6) E ancora, sempre in rapporto alla questione dei registri dei tumori, i registri di cui disponiamo si riferiscono ai civili e riguardano una gamma di età diciamo tra 0 e 100 anni, mentre i militari impiegati in operazioni, hanno un’età media compresa, diciamo, tra 20 e 45 anni. Ma non è tutto. I militari, per esigenze inerenti il servizio, devono essere sottoposti a visite mediche psicofisiche di idoneità, prima di essere ammessi nel Corpo ed in seguito, sono sottoposti annualmente a visite di controllo. In sostanza, quello che potremmo definire il “valor medio della salute” dei militari, è diverso da quello dei civili, e quindi un confronto diretto non può essere fatto.

Mi limito a queste poche considerazioni, anche se vi sarebbero altri argomenti da considerare. Ma a me pare che alla Commissione debba essere fornito riguardo allo, per così dire, “stato dell’arte” in cui ci troviamo, un quadro più ampio e più completo di ciò che è stato fatto nel campo degli studi. Anche perchè, stabilire dei limiti di validità è assolutamente necessario per definire un punto di partenza per eventuali approfondimenti da compiersi in futuro.

3) I 65.000 militari nei Balcani. Audizione della Prof.ssa Stefania Salmaso, pag. 13 del 17 aprile 2007

La Prof.ssa Salmaso, direttrice del Centro Nazionale di Epidemiologia afferma di aver ricevuto informazioni dalla Direzione della Sanità Militare del Ministero della Difesa del fatto che 65.000 militari che hanno effettuato una missione in Kossovo, anche ripetuta, nelle zone di interesse e precisa che (pag. 15): Su questi 65.000 soggetti vi sono stati 159 casi di tumore segnalati fino al 2005 e 189 fino alla fine del 2006, ma la conferma della diagnosi non è a disposizione, nemmeno per i 2/3 di questo personale”.

Ci si chiede se la Prof.ssa Salmaso ha assunto per buoni questi dati senza alcuna riserva, dati che tra l’altro sono anche di gran lunga superiori a quelli a cui fa cenno la Commissione Mandelli (che variano da 40.000 a 45.000) e che includono erroneamente almeno 12.500 militari che godevano di misure di protezione e quindi non erano da considerarsi nell’ambito di militari che potevano essere contaminati.

Non va dimenticato che prima di iniziare una ricerca statistica (se non epidemiologica - in quanto, a nessun titolo, nemmeno la Commissione Mandelli, può considerarsi uno studio epidemiologico), si pone come primo passo da compiere quello di un’analisi critica dei dati di partenza. Robaccia in entrata significa robaccia in uscita.

Anche la cifra dei 159 e 189 casi dovrebbe essere verificata. Tra l’altro, la relazione Mandelli non prende in considerazione i casi di malformazione alla nascita e patologie neurologiche come il morbo di Ghering. Alcune osservazioni:

1^ Osservazione: il dato è sicuramente eccessivo, come quello già sopra accennato delle 40-45.000 missioni prese in considerazione dalle relazioni Mandelli, anche tenendo conto di quanto affermato nel libro bianco della Difesa, a firma del Ministro Martino, dove si parla di circa 27.000 militari impiegati in tutto il territorio balcanico (comprendente anche Bosnia, Albania, Macedonia). Già in passato l’ANAVAFAF ha chiesto inutilmente spiegazioni in merito. E’ risultato, tra l’altro, che una stessa persona che aveva eseguito più missioni, veniva conteggiata non in quanto sè stessa, ma in quanto soggetto plurimo di varie missioni.

2^ Osservazione: il fenomeno che stiamo indagando non riguarda solo il personale IN MISSIONE ALL’ESTERO, ma riguarda anche il personale che svolge servizio in normali DESTINAZIONI IN ITALIA. Ad esempio quello che presta servizio nei poligoni di tiro e che non è, quindi, in missione. E così pure il personale che viene a contatto con l’uranio impoverito in depositi di automezzi, di vestiario, di armamenti. Tutte questioni completamente dimenticate anche nelle relazioni Mandelli.

3^ Osservazione: si parla del Kossovo (e a parte gli altri paesi dell’area balcanica, si dimentica che la problematica riguarda anche i casi che si sono verificati in Kuwaitt durante la I Guerra del Golfo e in Somalia .

4^ Osservazione: ammesso e non concesso che l’analisi dovesse limitarsi al Kossovo, omettendo tutto il resto, elementari principi metodologici avrebbero dovuto richiedere che l’area venisse divisa in zone di diverso grado di pericolosità in relazione, da una parte alla collocazione del personale, e dall’altra in relazione alla densità dei bombardamenti nelle varie zone. E’ ovviamente privo di senso considerare tutto il territorio come ugualmente sottoposto al rischio. Un italiano che si trovava a Pristina non era esposto come quello che si trovava, ad esempio, a Prizram, nella zona più esposta. Perciò andavano fatte preliminarmente delle divisioni per area geografica in relazione al prevedibile caso di rischio, ma poi andavano ulteriormente determinate delle zone da definire ad altissima, alta, media, bassa, bassissima probabilità di contaminazione, tenendo anche conto delle durate di esposizione a cui era stato sottoposto il personale. Non è evidentemente la stessa cosa trovarsi a 50 metri da una casamatta distrutta, oppure sostarvi dentro e invece trovarsi, ad esempio, a 5 Km dall’obiettivo nel quartier generale.

5^ Osservazione: sono stati messi in un unico calderone militari che prima del novembre 1999 nemmeno conoscevano l’esigenza di misure di sicurezza e quelli che, dopo il 2000 invece, avevano dovuto adottare le misure di sicurezza. E’ stata fatta così una specie di media tra ciliegie e cipolle.

Il gravissimo errore a cui sopra si è del resto già fatto cenno, di aver incluso tra i 40.000-45.000 uomini considerati a rischio in quanto operarono senza misure di protezione, anche almeno 12.000 persone non a rischio, errore finora non ammesso, è stato recentemente riconosciuto dal Prof. Grandolfo nella sua Audizione presso la Commissione.

In sostanza la cifra dei 65.000 è da mettersi massimamente in dubbio. Forse è più prossima alla realtà, per quanto concerne i militari esposti a rischio, una cifra dell’ordine di 6.500 uomini, almeno se si considera un consistente tasso di rischio.

Da rilevare, anche, che qui si parla solo di militari, ma il rischio doveva essere considerato anche per tutti i civili che hanno operato in zone di possibile contaminazione, molti dei quali neppure dopo il novembre 1999 erano a conoscenza di misure di protezione.

Le osservazioni precedenti riguardano solo la base dei dati assunti in partenza e non entrano in merito alle metodologie di trattamento di questi dati. Tema su cui la Prof.ssa Salmaso non si sofferma. In merito alla metodologia di utilizzo dei dati, mi limito a ricordare che nella I^ Relazione Mandelli si applicò la distribuzione di Gauss al posto di quella di Poisson. Un errore evidentemente gravissimo che contribuì a far sì che a conclusione della I^ Relazione e nelle comunicazioni che seguirono si affermasse che nessun parametro a rischio era stato superato. Un risultato, tra l’altro, in stridente contrasto con le disposizioni di sicurezza che a quel tempo erano state già emanate dalla Kfor, la Forza Multilaterale nei Balcani, a firma del Col. Osvaldo Bizzarri, che invece metteva in evidenza i rischi di tumore e di malformazioni alla nascita.

4) POLIGONI. Audizione ten. Minervini pag. 20 e 21 della relazione del 2 maggio 2007.

Si fa un cenno alla problematica relativa ai poligoni di tiro.

Nei nostri poligoni (o quanto meno non in tutti i poligoni) non operano solo militari italiani, operano anche militari stranieri di Paesi della NATO e anche non della NATO che hanno in dotazione armi all’uranio impoverito. Ad esempio nel poligono di Teulada in Sardegna eseguono tiri contro costa Marine che hanno in dotazione armi all’uranio. Questo problema si è presentato relativamente alla Marina USA anche all’estero, ad esempio nel poligono di Vieques presso Portorico.

Inoltre, in alcuni poligoni, come a Salto di Quirra in Sardegna, eseguono sperimentazioni anche ditte civili straniere. E non si sa quali armi usano, nè si conoscono i rapporti che vengono stilati per le singole sperimentazioni. Quanto a questa questione, ne trattò la precedente Commissione di Inchiesta del Senato alla quale non vennero resi noti i rapporti sulle sperimentazioni e la Commissione ebbe a lamentarsi in proposito.

Inoltre, per impedire che vengano usate armi eventualmente all’uranio, avrebbero dovuto essere stati emanati dei bandi internazionali di divieto, ma non risulta che tali bandi siano stati emanati.

Dunque non possiamo avere alcuna certezza circa il non uso dell’uranio impoverito nei poligoni. E vi è quindi un particolare rischio per coloro che sono addetti alle “pulizie delle zone colpite” (gli “zappatori” o “liquidatori”) e comunque dovrebbero operare con le misure di protezione.

Da notare anche che per le operazioni che si svolgono all’estero, in determinati teatri vengono approntati dei poligoni per poter esercitare il personale ed in questi poligoni vengono usate, dai paesi che operano nel teatro, le armi che hanno a disposizione, che potrebbero essere all’uranio.

Quanto ai poligoni del Nord Italia, il ten. Minervini, con riferimento al Nord Italia parla solo del poligono di Aviano. Ma c’è, ad esempio, presso Maniago il poligono del Dandolo (e tra l’altro in questo poligono abbiamo registrato il caso di morte di un militare, A. Garofolo). Il ten. Minervini ci può far sapere la sua opinione in merito?

Il ten. Minervini, a pag. 21 della relazione, cita il caso di personale con incarichi di cuciniere, che è stato impiegato, invece, in compiti di pulizia nel poligono. Non viene presa in considerazione la gravissima questione dell’uso improprio di personale in compiti che non gli spettano e quindi delle responsabilità di chi ha assegnato questi compiti ed in particolare chi ha disposto che il personale operasse a mani nude senza alcuna misura di protezione.

Nei poligoni abbiamo avuto anche dei casi di personale che è deceduto, come il caso dei VAM Serra e Faedda in Sardegna ed il personale ammalato come il militare Cappellano, sempre in Sardegna.

5) Impiego di armi all’uranio in Italia. Audizione del ten. Minervini nella relazione del 2 maggio 2007

Il ten. Minervini afferma che per quanto riguarda l’Italia: “Non sappiamo se abbiamo munizioni all’uranio impoverito. Qualche anno fa questa questione emerse anche su articoli di giornale, come il tempo del 10 febbraio 2001, e del 25 marzo 2001. In questi articoli si afferma che l’Italia disponeva di un lotto di armamento acquistato da Israele. Israele lo avrebbe a sua volta acquistato nel 1985 dalla Germania. Parte del lotto, che venne inviato in Somalia, sembra sia tornato in Italia e in parte custodito nel deposito di Le Casermette a Bibona presso Cecina.

Il Ministro Mattarella, si legge su ‘Il Tempo’, aveva confermato che: “i 5.000 colpi sospetti provenivano da Tel Aviv e potevano essere stati usati in Somalia”. Ma, il ministro aveva precisato che non erano all’uranio. Forse il ten. Minervini potrebbe farci sapere se è al corrente di questa vicenda.

6) Fogli matricolari. Audizione del ten. Minervini pag. 20 e 31 della relazione del 2 maggio 2007

In questa relazione si fa un cenno alla problematica dei fogli matricolari. Non ci si può illudere che i fogli matricolari indichino fedelmente l’attività compiuta dagli interessati. E’ risultato, ad esempio, per esperienze passate, che in alcuni fogli matricolari non venissero segnalate missioni compiute nei poligoni. Quindi, per il caso di personale vivente è necessario che la rispondenza dei fogli matricolari venga sottoposta al loro controllo. Ciò ovviamente non è possibile per il personale deceduto. Inoltre nei fogli matricolari non viene registrata l’esecuzione di quei compiti che non sono svolti “ufficialmente”, compiti “di istituto” (ad esempio le attività di sgombero e pulizia dei poligoni non affidate al personale specializzato come il Genio Guastatori).

Nei poligoni in Sardegna sono stati affidati compiti di sgombra bossoli a personale che risulta addetto alle cucine. A nulla, quindi, serve lo screening di cui si è parlato di un foglio matricolare, che non attesti la reale attività del personale.

Circa le imprecisioni, anche gravi, che l’Associazione che presiedo ha avuto modo, in passato, di rilevare, vorrei citare il caso del Sergente di Marina Cervia, un Sergente con competenze in elettronica, che è scomparso anni fa e di cui non si è saputo più nulla. Aveva frequentato vari corsi di specializzazione, una questione che ovviamente poteva avere interesse nei riguardi dei motivi della scomparsa. Purtroppo, ci venimmo a trovare di fronte a tre fogli matricolari che contenevano indicazioni diverse tra loro circa i corsi frequentati.

Circa la raccolta dei fogli matricolari osservo che per entrare in possesso dei fogli matricolari (tenute presenti tutte le riserve sopra espresse in merito alla loro utilizzabilità), è da ritenersi sufficiente che il Ministero della Difesa impartisca un ordine a tutti i Distretti Militari dipendenti e a tutti i Dipartimenti Marittimi di inviare copia autenticata, oppure l’originale, alla Direzione del Personale della Difesa che potrà renderli disponibili alla Commissione di Inchiesta. Il suggerimento del Sen. Casson si inviare la Polizia Giudiziaria per ottenere i dati, può essere un provvedimento di “ultima ratio” nel caso che il Ministero della Difesa, nonostante la richiesta, non renda disponibile il materiale documentato.

7) Casi di tumori al polmone e al rene. Audizione del Prof. Giorgio Trenta, pag. 27 della relazione del 2 maggio 2007

Il Prof. Trenta afferma che: “Avrebbero dovuto manifestarsi segni di insofferenza renale, effetti che nessuno ha riscontrato dal punto di vista clinico”.

Desidero precisare che tra i casi di morte verificatisi in Italia, per possibile contaminazione da uranio impoverito, c’è quello del Capitano di Corvetta D’Alicandro, deceduto. Quanto ai casi di tumori al polmone, cito, ad esempio, i casi dei Marescialli Pizzamiglio e Fotia, deceduti.

Quanto ai dati dell’UNSCEAR, Comitato Scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche, da cui, nella pubblicazione del 2000, non risulterebbe la presenza dei linfomi di Hodgkin, è improbabile che l’UNSCEAR abbia potuto tenere conto dei dati italiani forniti dalla Commissione Mandelli. Forse il Prof. Trenta potrebbe precisare su quali dati l’UNSCEAR si è potuta basare.

8) Zone bombardate nei Balcani. Audizione del ten. Minervini, pag. 19 della relazione del 2 maggio 2007

Il ten. Minervini fa cenno al caso della fabbrica di Zastava in Serbia. Ma non cita altri casi di grande interesse. Tanto per fare un esempio di particolare rilievo, potremmo citare il caso dei malati di Bratunac e della fabbrica militare serba di Aadzici. Forse il ten. Minervini è in grado di fornire qualche ulteriore informazione.

9) Continuità di lavoro (il non superamento di sei mesi). Audizione del ten. Minervini, pag. 31 della relazione del 2 maggio 2007

Il ten. Minervini segnala la non opportunità di trattenere il personale per sei mesi in una stessa destinazione.

C’è da osservare in merito che le missioni all’estero si svolgono normalmente con una durata di circa quattro mesi e si ripetono ciclicamente, in alcuni casi. Ma il personale militare, è bene chiarirlo una volta per tutte, NON E’ SOLO QUELLO IMPIEGATO IN MISSIONI, E’ ANCHE IMPIEGATO IN NORMALI DESTINAZIONI. Ad esempio, in un poligono il personale può essere quello impiegato continuativamente per un anno o anche più. E quindi, quanto è stato detto circa un massimo di durata di sei mesi, va riesaminato.

10) Studio del Prof. Nobile. Precisazioni del Sen. Amato, pag. 32 della relazione del 2 maggio 2007

Il Sen. Amato cita uno studio del Prof. Nobile. Se si tratta dello studio del Prof. Nobile, oggetto anche di una pubblicazione in merito, occorre tener conto che questo studio è stato effettuato su personale che applicava le norme di protezione. Ma se si vuole avere un’idea dei rischi dell’uranio non bisogna fare indagini su personale protetto. Ad esempio se si fa un’indagine sulla possibilità di restare bagnati dalla pioggia, è bene evitare che questa indagine venga svolta su chi usa l’ombrello e l’impermeabile.

Se lo studio del Prof. Nobile è quello sopracitato non ha interesse per quanto riguarda una valutazione della pericolosità delle armi all’uranio impoverito.

Falco Accame

Presidente Ana-Vafaf