venerdì 1 giugno 2007

I pericoli dell’uso di proiettili all’uranio impoverito sottovalutati dal Pentagono

(Vittimeuranio.com) Ci è stato riferito che il Pentagono “avrebbe condotto uno studio sull’uranio impoverito” (uranio 238 o DU in inglese) dimenticando, pare, di considerare i pericoli dell’uranio metallico introdotto nell’atmosfera libera ed esterna dopo un’esplosione, contaminando così quest’atmosfera e penetrando all’interno del corpo di qualsiasi persona che respiri quest’aria viziata. Lo studio prende, sembra, unicamente in considerazione i pericoli dell’uranio all’esterno del corpo. Se un tale grossolano errore è stato commesso, allora non credo minimamente nelle conclusioni di questo studio del Pentagono, perché in quest’ottica neppure l’arsenico è pericoloso! In effetti, il depleted uranium (uranio impoverito) è uranio 238. All’esterno del corpo non è un metallo pericoloso. Ma all’interno del corpo, questo metallo, il DU, è molto pericoloso.

Il perché della sua pericolosità si può riassumere in due motivi.

Il primo motivo è che è un metallo chemio-tossico all’interno dell’organismo. In effetti anche se una piccolissima quantità di DU penetra nell’organismo, il nostro corpo fa sforzi immediati per evacuarlo in particolare tramite escrezione renale. Tuttavia se questa piccola quantità è insolubile, i reni soffriranno di non poter evacuare quest’uranio insolubile. Nell’80% dei casi l’U238 che proviene dall’esplosione di una granata, di una bomba o di un incendio produce miliardi di particelle estremamente piccole che sono insolubili e che dunque NON POSSONO DISSOLVERSI nel corpo per essere evacuate dai reni. In tal caso le particelle insolubili ristagneranno nell’organismo e costituiranno dei punti radioattivi interni o “internal hot points” (detti punti caldi, da intendersi come “punti radioattivi interni”) estremamente nocivi.

Il secondo motivo è che l’uranio 238 è non soltanto radioattivo, ma è un emettitore radioattivo di tipo alfa-gamma. Ora questi emettitori irradiano le cellule in funzione dell’inverso del quadrato della distanza che esiste tra la fonte irradiante stessa (l’uranio) e le cellule irradiate dall’uranio.

Vale a dire che se l’uranio si trova lontano a una distanza “d” da noi, riceveremo, per esempio, una dose “D”. Ma se l’uranio si ravvicina a noi, per esempio ad una distanza “d/2” riceveremo allora una dose “2x2xD = 4D”. E se l’uranio si ravvicina ancora da noi a una distanza 10 volte più piccola, sia “d/10”, allora riceveremo una dose di irradiazioni uguale a “10x10xD = 100D” ossia 100 volte la dose iniziale.

Ora, esiste un modo di ravvicinare da noi ancora e ancora quest’uranio metallico? SI se viene diviso in piccolissime particelle che possono penetrare in noi tramite i polmoni, il cibo o le bevande. In tal caso queste piccolissime particelle potranno dall’interno del nostro corpo avvicinarsi sempre di più alle nostre cellule, al punto tale da fiancheggiarle a livello microscopico. Questo viene chiamato “avvicinarsi a prossimità immediata interna” oppure “scatenare l’effetto interno di prossimità”. Ora l’effetto di prossimità interno è molto pericoloso per le conseguenze biologiche che scatena a volte molto tempo dopo aver provocato intense irradiazioni locali alle cellule viventi: tumori, leucemie e altri macabri fenomeni compaiono anche dopo molti anni.

In tal modo quanto sia costato “LO STUDIO DEL PENTAGONO” non crediate mai che la penetrazione dell’uranio nel vostro corpo sia inoffensiva.


Prof. Maurice Eugène André

ex ufficiale specializzato in protezione NBCR

(protezione nucleare, biologica, chimica, radiologica) Visé, Belgio.