martedì 19 giugno 2007

Ancora tre morti. Le vittime militari ora sono 50

50 militari italiani morti a causa della possibile contaminazione da uranio impoverito in seguito alle missioni nel Golfo, in Somalia, nei Balcani e alle destinazioni nei poligoni e depositi militari, oltre a due casi di gravissime malformazioni alla nascita nonché tre casi di vittime civili.
E’ il bilancio del "presunto Killer" al quale è stato dedicato il "Libro Nero" dell’Ana-Vafaf (Associazione nazionale assistenza delle vittime appartenenti alle forze armate) contenente le storie dei caduti.

Nella conferenza di presentazione, organizzata in collaborazione con il nuovo portale di denuncia Vittimeuranio.com, il presidente dell’Ana-vafaf Falco Accame ha denunciato gli ultimi tre casi rimasti sconosciuti. Il primo riguarda un ufficiale del Sismi, Antonio Caruso, originario di Catania, deceduto a causa di un tumore al cervello nel 1999, dopo aver prestato servizio in diversi teatri come la Somalia e la Bosnia.

“La notizia della sua scomparsa è stata resa nota solo oggi – ha spiegato Accame – data la particolarità del soggetto impiegato alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La vedova dell’ufficiale ha lamentato il fatto di essere ancora in attesa dopo 8 anni di una risposta da parte della Difesa sul riconoscimento della causa di servizio al marito”.

"Degli altri due casi - ha rivelato Accame - si possono fornire informazioni limitate a causa della volontà di riservatezza espressa dai familiari. Il primo riguarda il caporalmaggiore Roberto C. di Taranto, morto nei mesi scorsi a causa di un tumore, al rientro da una missione operativa in Kosovo dopo aver operato anche nella base di Gioia del Colle. Un altro caso riguarda il sottufficiale Paolo C. di Messina, morto un anno fa anche lui a causa di un tumore dopo una missione nei Balcani".

"Tutto ciò - ha continuato l'ex presidente della Commissione Difesa - mentre restano gravissime le condizioni del giovante ventitreenne della provincia di Catanzaro rimpatriato dal Libano all’inizio di Giugno in seguito all’individuazione di un tumore in stadio avanzato. Su questo c’è da chiedersi se sono state effettuate tempestivamente le visite di controllo, e se queste vengono effettuate da tutti gli altri miliari in Libano. E mentre un ex sergente dell’Esercito si è rivolto all’associazione denunciando di essere affetto da un linfoma di hodgkin al quarto stadio dopo aver effettuato tre missioni nei Balcani".

"Il denominatore comune di tutte queste morti - secondo Accame - risiede nel fatto che nessuno di loro non aveva adottato nessuna misura di protezione contrariamente a quanto fatto dai reparti americani con oltre sei anni di anticipo. Ma le protezioni sono rimaste spesso solo sulla carta anche dopo l’emanazione delle prime norme italiane risalenti al 1999, come hanno avuto modo di denunciare moltissimi reduci. E’ paradossale che ai nostri militari impiegati in Somalia siano state impartite precise disposizioni degli stati maggiori per proteggersi dalle zanzare, dai colpi di calore, dalla diarrea e dai rischi derivanti dai morsi dei ragni, e non sia stata presa in considerazione la pericolosità dell’uranio".

"Ci aspettiamo - ha concluso - che questo dossier sia acquisito agli atti della Commissione parlamentare di inchiesta tenuto conto che la base dei dati sulla quale sta facendo riferimento è assolutamente vaga, basti pensare al fatto che le vittime restano ancora 28 per la Difesa".

Intanto, attraverso il portale Vittimeuranio.com, il fisico nucleare Evandro Lodi Rizzini, direttore del Dipartimento di Chimica e Fisica dell'Università di Brescia, lancia un appello agli organi competenti chiedendo di poter svolgere delle analisi sperimentali, esplodendo alcuni proiettili all'uranio in una struttura idonea per valutarne gli effetti. "Continuare con delle analisi statistiche come ha fatto la Commissione Mandelli - ha spiegato lo scienziato - non è sufficiente".

Francesco PALESE