mercoledì 6 giugno 2007

Primo campanello d'allarme dal Libano. E' calabrese il militare rimpatriato

“Un tumore a rapido sviluppo ha colpito un giovane militare calabrese rimpatriato per questo tre giorni fa dal Libano. E ciò nel più totale silenzio da parte del Ministero della Difesa, nonostante si tratti di un serio campanello d’allarme, dal momento che i nostri militari sono stati inviati senza misure di protezione per l’uranio impoverito”. Lo dichiara, al sito Vittimeuranio.com, Falco Accame presidente dell'associazione delle vittime Anavafaf.

Accame aggiunge che “il ragazzo sarebbe stato probabilmente necessario farlo rientrare prima, appena apparsi i primi sintomi, ma c’è da chiedersi se ai nostri militari in Libano vengono effettuati periodicamente e a breve distanza almeno i test sulle urine”.

“La specificità del rapido sviluppo del tumore -dice Accame- è una condizione rilevata in passato più volte dall’associazione. Infatti alcuni casi che hanno sorpreso i medici curanti (ci riferiamo a vicende non più coperte da privacy perché venute alla luce anche sulla stampa) sono ad esempio quelle del maresciallo Umberto Pizzamiglio di Verona, del maresciallo Antonio Fotia di Padova, del paracadutista Aniello D’Alessandro di Salerno. Si tratta di una peculiarità che forse la scienza medica potrà un giorno approfondire”.

“Il pericolo in Libano -secondo l'ex parlamentare- non è certo costituito dalla radioattività al suolo che incide soprattutto sulle falde acquifere, su cui sembrano essersi concentrate tutte le analisi finora eseguite, dalle quali abbiamo appreso che questa radioattività è inferiore in Libano rispetto a quella esistente in Italia. Almeno per i nostri militari che bevono acqua minerale la questione è di scarso interesse”.

Le forme di pericolo sono per Accame “piuttosto legate al venire in contatto con obiettivi come bunker, casematte, postazioni blindate, come quelle con cui erano protetti i missili degli Hezbollah, che non si può escludere siano state colpite da armi all’uranio impoverito o addirittura armi all’uranio naturale o arricchito. E’ il sostare in prossimità di questi obiettivi, che divengono sorgenti di emanazione di “particolato” radioattivo (e anche chimicamente pericoloso) da cui deriva il rischio dei tumori”.

“Non dobbiamo -conclude- dimenticare a questo proposito quanto accadde nella prima Guerra del Golfo nel 91, in Kuwait, dove si verificarono casi di tumore tra i nostri militari che si erano recati a visitare carri armati irakeni colpiti dalle armi USA ad uranio impoverito e raccolti tutti assieme in campo deposito”.