Che non si possa provare per i tumori il nesso di CERTEZZA tra uranio e tumori, è cosa risaputa da sempre, ma è altrettanto noto, almeno da quando sono morti entrambi i coniugi Curie, che non si può escludere il nesso tra uranio e tumori. E se non lo si può escludere deve essere applicato il principio di precauzione.
Circa i pericoli dell’uranio impoverito e le norme da adottare, anche nel maneggio a freddo (come è stato il caso delle bombe gettate in Adriatico), ce lo ha comunicato la NATO fin dal 1984. Che il pericolo ci sia ce lo hanno confermato, subito dopo la Guerra del Golfo, i casi di tumore e malformazione alla nascita verificatisi tra i reduci USA della Guerra del Golfo, Ce lo ha ricordato anche un filmato del 1995 girato dal regista D’Onofrio tra i reduci degli Stati Uniti, un film presentato anche alla Mostra di Venezia e quindi ben noto.
Il fatto che la prima “direttiva tecnico-operativa” del Ministero risalga al 1999 non può certo costituire una giustificazione per la ritardata emanazione di norme, è anzi un fatto assai grave in quanto questa direttiva viene sei anni dopo da quando, icto oculi, il nostro personale in Somalia ha visto i militari USA, con cui cooperavano (dalla data del 14 ottobre 1993), operare con tuta, guanti, maschere, anche con 40°C all’ombra, mentre i nostri operavano in calzoncini corti e canottiera.
E’ sperabile che il PM abbia indagato sul perchè queste disposizioni siano state emanate con sei anni di ritardo rispetto a quanto avevano fatto gli USA. Ma anche con ritardo rispetto alle stesse norme emanate dalla KFOR, la Forza Multilaterale nei Balcani il 22 novembre 1999.
Infatti la KFOR il 22 novembre 1999 aveva emanato le norme di protezione a firma del Col. Osvaldo Bizzari. Nelle norme si precisava che l’uranio può produrre tumori e malformazioni alla nascita. Assai preoccupante il fatto che i comandanti in Somalia non abbiano ricevuto spiegazioni dal Comando USA e così non abbiano saputo nulla neppure i Servizi di Informazione massicciamente impiegati in Somalia. Tra l’altro, dei Servizi di Informazione fanno parte i SIOS (Servizio Informazioni, Operazioni e Situazioni) di Forza Armata, che hanno come compito prioritario quello di raccogliere informazioni sulle armi impiegate.
A parte la normativa del 1984, era in vigore la normativa italiana per la radioprotezione del 1995, la legge 230 di cui occorreva tenere il debito conto. Inoltre esisteva la normativa NATO del 1996 per le basse radiazioni (e quelle dell’uranio sono, appunto, basse radiazioni!). Inoltre, nel 1995 si era tenuta a Bagnoli (Napoli) presso il Comando del Sud Mediterraneo, una conferenza riportata da tutta la stampa italiana, in cui venivano illustrati i bombardamenti effettuati nei Balcani con aerei A10 capaci di impiegare proiettili all’uranio impoverito. E’ semplicemente incomprensibile, quindi, come solo nel 1999 possano essere state emanate direttive in merito all’uranio impoverito.
Sul fatto che si doveva applicare il principio di precauzione, si è espressa, in modo inequivocabile, la Commissione di Inchiesta sull’uranio impoverito del Senato, a firma della Sen. Lidia Menapace, nella relazione finale della Commissione stessa (reperibile su Internet).
Una grave inesattezza sembra, inoltre, almeno dagli atti che si conoscono, sia stata comunicata al PM con l’affermazione he i nostri Reparti NBC hanno effettuato ogni sorta di verifica in Bosnia e Kossovo sulla presenza di uranio impoverito e con la partecipazione del CISAM, impiegando tra l’altro, sofisticatissime metodiche di laboratorio e concludendo che non vi erano rischi.
Peccato che, probabilmente, non hanno tenuto conto di quanto ha riferito il rappresentante stesso del CISAM, Dott. Di Benedetti, nella sua audizione presso la Commissione di Inchiesta del Senato (reperibile su Internet). Infatti, il Dott. Di Benedetti, si è scusato con la Commissione per il fatto che per vari motivi interni, non fu rilevata la presenza di armi all’uranio impoverito nei Balcani e ciò nonostante che fossero stati, in quell’area, lanciati oltre 40.000 proiettili (10.000 in Bosnia e 30.000 in Kossovo) secondo la NATO (ma forse anche molti di più nella realtà) e non prendendo in considerazione i missili da crociera che contengono barre da uranio impoverito da 300 Kg. (i proiettili contengono solo qualche decina di grammi di uranio impoverito). Il Dott. Di Benedetti precisò che, purtroppo, lo strumento di misura utilizzato, RA141-B, poteva esplorare fasce praticamente inesistenti (di larghezza 10 cm).Questa fu certamente una delle ragioni per cui la Difesa ritenne, erratamente, che i nostri militari non correvano alcun rischio da uranio impoverito nei Balcani.
Così è accaduto, come hanno raccontato vari reduci, che, mentre i militari USA nei Balcani lavavano ogni sera le tute, i nostri semplicemente “le spazzolavano” risollevando così la polvere di uranio che vi si era depositata. La risposta alle domande fatte dai nostri militari è stata, in genere, del tipo “gli americani lo fanno perchè sono ‘fanatici’”.
Si afferma nella documentazione di cui si è a conoscenza, inviata al PM, che gli Stati Uniti nel maggio 1999 hanno fatto sapere di aver fatto uso di armi all’uranio impoverito. Tutto ciò a prescindere dal fatto che già nel 1993, evidentemente (icto oculi) avevano adottato le misure di protezione. Comunque dal maggio 1999 al dicembre 1999 sono passati oltre sette mesi. E per dotare i nostri reparti delle misure di protezione (guanti, maschere, tute, ecc.) credo sarebbero bastate poche settimane. Infatti, anche nella deprecata ipotesi che l’Italia non sia in grado di disporre sul mercato guanti, maschere e tute, bastava chiederle agli Stati Uniti che, sicuramente, ne hanno dotazioni rilevantissime nei grandi depositi in Italia, come ad esempio, Camp Darby presso Livorno. E probabilmente sarebbe bastato inviare alcuni camion a Livorno per avere, nel giro di qualche giorno, in Bosnia e Kossovo il materiale. C’è quindi da augurarsi che siano stati fatti accertamenti sul perchè sono occorsi oltre sette mesi.
Riassumendo alcune questioni di fondo, possiamo notare che:
1) la pericolosità dell’uranio impoverito, anche per quanto riguarda il maneggio a freddo delle armi (cioè armi non esplose, in quanto non hanno urtato contro una superficie rigida, così come le bombe cadute in Atlantico) era già nota dal 1984 nelle norme inviate all’Italia dalla NATO. Peraltro, una vastissima letteratura sulla pericolosità dell’uranio impoverito è già esistita almeno dai primi anni ’90. Va tenuto presente, in merito, che i primi esperimenti sulla pericolosità dell’uranio impoverito, furono fatti in Australia addirittura negli anni ’50;
2) la stessa Commissione Mandelli nella sua III e ultima relazione, ha messo in risalto i pericoli specie per i linfomi di Hodgkin e il Prof. Mandelli, in un articolo sulla rivista ‘Epidemiologia e Prevenzione’ del 2001, ha chiaramente affermato che non si poteva escludere che l’uranio impoverito ne fosse stato causa di tali linfomi;
3) sono state fornite false e superficiali risposte a militari italiani che hanno chiesto spiegazioni anche dopo la emanazione delle norme del novembre (KFOR) e del dicembre 1999, circa il fatto che non venivano adottate norme di protezione;
4) i pericoli dell’uranio riguardano, non solo zone colpite all’estero, dove hanno operato i nostri militari (ma non dimentichiamolo, vi hanno operato anche i civili, molti dei quali si sono ammalati), ma anche zone in Italia come ad esempio i depositi di materiali dove si è accumulato, appunto, materiale tornato dall’estero e non decontaminato, come invece prevedevano le norme USA del 1984 (si tratta di vestiario, automezzi, mezzi blindati, etc.);
5) non si sa se siano stati fatti eseguire accertamenti circa questo materiale che si è venuto a trovare nei depositi italiani;
6) quanto al fatto che si manifestino dubbi sulla pericolosità dell’uranio, questa pericolosità è stata assolutamente confermata (purtroppo molto tardivamente), ad esempio, dalle norme stesse emanate dallo Stato Maggiore (e in particolare dalle disposizioni emanate dall’allora Sottocapo di Stato Maggiore Gen. Ottogalli). Secondo queste disposizioni occorreva, addirittura, conservare proiettili che erano stati reperiti sul campo in appositi armadi metallici di sicurezza dai quali, comunque, era opportuno rimanere a debita distanza.
Vi sono dunque gravi responsabilità nel non aver tempestivamente informato il personale dei pericoli (almeno dal 1993, da quando cioè abbiamo collaborato con gli USA in Somalia), e non aver tempestivamente e rigorosamente applicato le misure di protezione.
Non sembra che vi possano essere prescrizioni in merito a queste responsabilità.
Falco Accame
Presidente ANAVAFAF