2.727 militari italiani affetti da patologie neoplastiche al 31 dicembre 2009. E’ il dato fornito dal ministro della Difesa Ignazio La Russa rispondendo ad una interrogazione parlamentare presentata da Teresa Bellanova del Pd, il 13 gennaio 2010.
Si tratta del numero più alto fornito negli ultimi anni, e bisogna anche considerare che sono dati incompleti come osserva lo stesso ministro. “Le differenze tra i dati forniti dalla difesa – risponde infatti La Russa - e quelli provenienti da fonti esterne all'amministrazione si possono così spiegare: i tempi di latenza nello sviluppo delle malattie neoplastiche sono solitamente dell'ordine di anni; una parte del personale interessato dal censimento, essendo in servizio di leva, è stato collocato in congedo al termine del periodo previsto, con la conseguenza che l'eventuale patologia insorta adistanza di tempo è stata gestita nell'ambito della sanità civile e nessuna notizia, quindi, è pervenuta nei canali informativi della sanità militare".
“Nello specifico – afferma La Russa - al 31 dicembre 2009, risultano 594 casi di malattie neoplastiche tra il personale impiegato in missione nei seguenti teatri: Balcani, Iraq, Libano e Afghanistan e 2133 tra il personale rimasto in patria o impiegato in altri teatri operativi (periodo 1996-2009)”.
Nessun aggiornamento infine sul numero dei morti: il dato è ancora fermo ai 77 casi dichiarati alla precedente commissione di inchiesta sull’uranio impoverito, mentre per le associazioni sono molti di più. L'Associazione Vittime Uranio, circa un anno fa, ne contò 216.
13 CASI DI TUMORI TRA IL PERSONALE DEI POLIGONI
“Circa il numero delle persone - emerge dalla risposta di la Russa - che potrebbero aver contratto «patologie connesse all'uranio impoverito sul territorio italiano», allo stato, risultano 13 casi di neoplasie tra il personale impiegato nei poligoni di tiro, dei quali 4 deceduti per le conseguenze di patologie neoplastiche (da tener presente che tale dato potrebbe essere condizionato dal fatto che il personale congedato viene poi perso dal flusso informativo sanitario militare)”.
Sempre La Russa rispondendo, lo scorso 15 febbraio, ad un’altra interrogazione presentata dal deputato Maurizio Turco sempre del Pd, ha affermato che “per quanto concerne l'attività di raccolta dei bossoli - svolta normalmente al termine dei tiri con armi individuali e di reparto per il ripristino delle condizioni dell'area utilizzata - non è previsto l'utilizzo di guanti o altri dispositivi di protezione individuale, non implicando tale pratica l'esposizione a sostanze nocive per il personale incaricato”.
Su quest'ultimo aspetto, alla luce degli sviluppi sull'inchiesta di Quirra, La Russa dovrebbe approfondire la questione.