martedì 15 maggio 2007

Il giallo delle raccolte di fondi. Ai parenti delle vittime nemmeno un euro

“Non abbiamo mai ricevuto un euro dalle raccolte di fondi a favore delle vittime dell'uranio impoverito che sono state e vengono tuttora promosse in televisione”. A parlare, con amarezza, è Lorena Di Raimondo, vedova di Alberto Di Raimondo, militare di Lecce, deceduto nell'ottobre del 2005 a 26 anni a causa di un linfoma in seguito ad una missione nei Balcani.

“Quello che non sopporto – aggiunge - è che qualcuno utilizzi le nostre storie per farsi pubblicità. Per me queste persone che vanno in tv per fare appelli non sembrano persone serie quando dicono che aiuteranno le vittime dell'uranio economicamente. Con questo non voglio dire che non sia positiva la denuncia e il fatto che se ne parli, ma ci sono modi e modi per denunciare. Speculare sui malati e sui familiari delle vittime non penso sia decoroso.”

Lorena sta aspettando che il ministero della Difesa riconosca la causa di servizio al marito. Aveva presentato una prima domanda nell'ottobre del 2005, ma al ministero “tutta la documentazione era stata smarrita” e ha quindi ripresentato, scongiurando nuovi intoppi, l'istanza nel gennaio scorso.

“In questi anni – spiega la vedova – lo Stato ci ha solo rimborsato le spese sostenute per i viaggi da un ospedale all'altro. Siamo qui che aspettiamo che venga fatta giustizia e chiediamo allo stesso tempo di non essere strumentalizzati per fini commerciali.”

A confermare quanto detto da Lorena, un'altra vittima da possibile contaminazione da uranio, il capitano dell'Esercito Carlo Calcagni, per lui tre missioni nei Balcani, ed ora un calvario continuo tra ospedali, terapie quotidiane e legali per far valere i suoi diritti.

“Strumentalizzare la nostra malattia - spiega l'ufficiale - è indecente. Noi non vogliamo l'elemosina da nessuno, ma allo stesso tempo alcune affermazioni dovrebbero essere corrette, dal momento che oltre al sottoscritto, che lotta dal 2002, nessuna delle famiglie dei caduti e degli ammalati di mia conoscenza ha ricevuto da parte di chicchessia alcuna forma di aiuto materiale. Per quanto mi riguarda ho speso fino ad oggi, di tasca mia, oltre 50.000 euro per cure, visite specialistiche e trasferte, senza ricevere l'aiuto da nessuno. Le chiacchiere non servono a nessuno, tantomeno ai chi sta male.”

QUANTO COSTA AL CONTRIBUENTE LA COMMISSIONE DI INCHIESTA?
NON E' DATO SAPERE

Per l'inchiesta che stiamo conducendo da diverso tempo ci eravamo posti il problema del costo della commissione parlamentare. Essendo una commissione del Senato della Repubblica ogni cittadino ha il diritto di sapere come vengono spesi i suoi soldi.
Per questo, lo scorso 7 maggio, abbiamo inviato una richiesta formale all'avvocato Vigo Vicenzi, direttore della segreteria delle commissioni bicamerali e monocamerali di inchiesta, ma ad oggi non abbiamo ancora ricevuto nessun cenno di risposta.

“Telefoni più tardi, l'avvocato adesso non c'è. Stiamo provvedendo. Le invieremo il materiale quanto prima” queste le risposte alle tante telefonate.
Non pensavamo fosse così complicato capire quanto ci costa ogni anno questa commissione, che dopo diversi litigi, (le uniche occasioni, a quanto pare, nelle quali si sia acceso il dibattito tra i partecipanti) è giunta alla nomina dei primi consulenti tecnici. Tra chi spingeva per la riconferma dei vecchi e chi premeva per affidare l'incarico a “prestigiose figure” sembra ora che sia stato trovato un compromesso.

“Avranno solo un rimborso spese – ci dicono al telefono – quest'anno si è deciso di non dare compensi. Per quanto riguarda la passata legislatura si trattava solo di pochissime centinaia di euro al mese, e in ogni caso molto meno rispetto ai consulenti delle altre commissioni”.
Intanto la presidente Lidia Menapace nei giorni scorsi ha lasciato intendere, così come è nei suoi poteri, l'intenzione di poter ricorrere alla proroga del mandato della sua commissione di un ulteriore anno.

Francesco PALESE