mercoledì 10 ottobre 2007

TUTTE LE DOMANDE CHE LA COMMISSIONE DI INCHIESTA NON HA FATTO A PARISI

L' ELENCO DELLE QUESTIONI APERTE

1) Risarcimento alle vittime e ai loro familiari: quanto vale la vita di un soldato?

Recentemente, in relazione alla morte dell’alpino Valerio Campagna, è stato riconosciuto un indennizzo globale di circa 17.000 euro, un risarcimento irrisorio, ad esempio se messo in rapporto ai 200.000 euro concessi ai familiari delle vittime di Nassiryia, pur trattandosi in entrambe le situazioni “vittime del dovere” . In altri casi (vedi ad esempio quello di Valery Melis e Fabio Porru) l’indennizzo globale alle famiglie è stato di 258 euro di pensione al mese.
A parte la differenza nelle modalità risarcitive, non spiegata, resta il fatto di un trattamento veramente disdicevole nei riguardi dei cosiddetti (in altre occorrenze) “nostri ragazzi”.

2) Norme di protezione

Per quali motivi, mentre in Somalia i reparti USA (con i quali i nostri militari hanno operato fianco a fianco in varie situazioni) hanno adottato le norme di protezione il 14 ottobre 93, mentre ai nostri reparti ne è stata data notizia 6 anni dopo e precisamente il 22 novembre 99. E ciò nonostante che anche la stessa NATO il 2 agosto 1996 avesse emanato le norme di protezione per le radiazioni a bassa intensità. C’è anche da sapere se dopo il 22 novembre 99 le norme emanate sono state applicate perché vari reduci hanno affermato di non averle adottate, anche dopo la predetta data. Infine resta il dubbio se siano state impartite direttive al personale per non mettere al mondo figli per 3 anni dopo il rientro dalla zona operativa.

3) Qualità delle apparecchiature di protezione

C’è da chiedersi se le tute distribuite al personale erano del tessuto molto fitto considerato necessario da parte degli USA. Infatti molti sono stati i casi di tumori agli organi genitali. Lo stesso discorso vale per le maschere (che debbono ostacolare l’ingresso delle nanoparticelle) gli occhiali e i guanti: quali sono state le specifiche contrattuali stabilite per l’approvigionamento di questi materiali?

E per quanto riguarda la localizzazione delle armi all’uranio e degli obiettivi colpiti (e di conseguenza le misure di prevenzione) come è stato possibile che sia stato impiegato dai reparti NBC l’intensimetro RA 141 B la cui portata è di solo 10 cm e che, di fatto, non è stato in grado di localizzare gli oltre 100.000 proiettili lanciati in Bosnia?

C’è anche da chiedersi perché il personale che è stato utilizzato, in base a una normativa insufficientemente chiara, nella raccolta dei residuati bellici da far successivamente esplodere, ciò è avvenuto sia nei poligoni italiani che all’estero come è mostrato da un filmato di RAI NEWS 24. In tale situazione non è stata adottata nemmeno la elementare misura di indossare dei guanti, disposizione necessaria anche per il raccoglimento di materiale metallico e munizionamento convenzionale.
Infatti, come ha dichiarato il prof. Stefano Montanari (intervista su Vita del 27.2.2004): “Una esplosione sviluppa comunque nanoparticelle tanto che il rischio di contaminazione è altissimo anche per la popolazione che qui in Italia vive vicino ai poligoni di tiro, ad esempio”. Infine occorre chiarire se l’Italia acquistò da Israele nell’85 un lotto di armi all’uranio impoverito, parte delle quali fu stoccata nel deposito di Bibbona, Cecina (vedi interrogazioni del Sen. Russo Spena e dell’On. Ballaman. Il personale artificiere del deposito si rivolse alla ASL locale perché preoccupato per il pericolo che khhhhsorgeva dalla ripulitura delle armi (tornate dalla Somalia con ossidazioni).

4) Monitoraggio e studio SIGNUM

C’è da chiedersi perché è fallito il piano di monitoraggio che era stato ritenuto indispensabile dalla Commissione Mandelli e che aveva avuto un seguito nell’accordo Stato-Regioni (Legge 28 febbraio 2001, N° 27). C’è da chiedersi anche perché ad oggi non sono stati resi noti i risultati dello studio SIGNUM per cui il Parlamento aveva stanziato una cifra elevatissima e doveva essere terminato da oltre un anno (inizio 2006).

5) Poligoni e sperimentazioni di ditte italiane e straniere

In alcuni dei nostri poligoni hanno eseguito sperimentazioni non solo forze militari italiane e NATO, ma anche forze e ditte straniere appartenenti a paesi non NATO. Ad esempio vi è stato il caso di una nota ditta svizzera di armamenti, su questa vicenda è stato realizzato anche un filmato. In seguito ad ogni sperimentazione (che preventivamente dovrebbe essere oggetto di un contratto e di un preciso protocollo) viene redatto un rapporto di sperimentazione. Ma non è stato possibile ad oggi avere alcuno di tali rapporti, nemmeno da parte della Commissione di Inchiesta del Senato della scorsa legislatura che ne ha fatto esplicita richiesta durante la sua visita in Sardegna.
Peraltro non sono mai stati emanati “bandi internazionali” di divieto dell’uso delle armi all’uranio nei poligoni e quindi una ditta che ne facesse uso non verrebbe neppure a violare un divieto. Ed inoltre non è possibile neppure un controllo a posteriori sul terreno. Ad esempio se si utilizzasse il sopra citato intensimetro RA 141 B per un territorio dell’estensione del poligono di Salto di Quirra di 135 Km quadrati, procedendo a passo d’uomo con strisce di 10 cm, non basterebbero probabilmente vari secoli.

6) Sul significato di “personale esposto”

Nelle “Relazioni Mandelli” ed in simili studi si identifica il personale in missione all’estero con il numero dei potenziali “esposti” alle radiazioni dell’uranio impoverito. A parte il fatto che non ci interessa solo il “personale in missione all’estero” ma anche quello in Italia che ha operato nei poligoni e nei depositi, occorre precisare che non si può identificare il personale IN MISSIONE con il personale ESPOSTO.
Ad esempio per 10 persone in missione può darsi che ve ne sia solo una “esposta”, cioè che si è venuta a trovare per qualche tempo in vicinanza di obiettivi colpiti. E non è certo la stessa cosa trovarsi in vicinanza (ad esempio 500 metri da un carro armato distrutto e trovarsi a 5 Km dallo stesso). Occorre dunque conoscere dove si trovava il personale (e quando) in rapporto ad obiettivi colpiti, cioè occorre conoscere LA STORIA ESPOSTIVA dei singoli casi.
In mancanza di ciò i dati non sono affidabili. Lo stesso dott. Donato Greco, Direttore Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute, nella sua audizione del 4 maggio 1005 ebbe a dire che gli elenchi del personale in missione includono “personale militare e non, quindi anche il volontario che aveva lavorato in ospedale, l’impiegato della Ragioneria militare e quant’altri comunque avesse messo piede da quelle parti”. Anche il dott. Greco sostenne che bisognava conoscere la “storia espositiva”.

Dunque, specie in relazione alle conclusioni della Commissione Mandelli, occorre sapere chi ha fornito, e con quali criteri, i dati alla Commissione stessa che si è basata nella 3^ Relazione su 44 casi di possibile contaminazione. Ma, tra l’altro, la Commissione non ha preso in considerazione i dati relativi alla guerra del Golfo del 91, della Somalia del 1993, della Macedonia, della Albania, e in Italia dei poligoni e dei depositi. Inoltre si è occupata solo di tumori tralasciando i casi malformazione alla nascita e le patologie neurologiche.
Lo scrivente ha chiesto fin dal 2003, ripetutamente ma invano, al Ministero della Difesa, ai sensi della Legge 241/90 chi ha fornito i dati su cui si sono basate le analisi

7) Numero dei casi di possibile esposizione

Occorre chiedersi a quanto ammonta la cifra totale da prendersi in considerazione.
Recentemente si è appreso dai mass media che è stata compilata una lista di oltre 2.000 casi di possibile contaminazione. Ma si è ricordato poco sopra che nella 3^ ed ultima Relazione Mandelli del 2002 il totale dei casi era di 44. Successivamente alla Commissione di Inchiesta del Senato ne sono stati comunicati (audizione del citato dott. Greco del 2005) 104, nel 2006 il Ministero della Difesa (vedi articolo su Il Corriere della Sera del 5 aprile 2006) comunicò che i casi erano 158. C’è da chiedersi come è possibile che in un anno si sia passato da un numero a tre cifre ad un numero a quattro cifre, cosa assolutamente impossibile. Anche se dimezziamo, per via di possibili errori, la cifra di 2.000 in quella di 1.000 il problema resta nella sostanza immutato. Soprattutto sorge il sospetto che fin dal 2000 vi sia stata una sottovalutazione rilevante del numero dei casi reali.

Per quanto riguarda gli eventi mortali l’Ana-Vafaf ne ha riconosciuti 50 nel dossier recentemente compilato, ma ora, secondo la citata lista, sembrano essere oltre 170. Ed inoltre i 50 casi di morte segnalati dall’Ana-Vafaf nel suo dossier sembra che in larga parte siano invece considerati come relativi a viventi e d’altra parte per il Ministero della Difesa, casi di viventi (vedi ad esempio i casi del maresciallo Marco Diana del Caporal Maggiore Fabio Cappellano) sono stati considerati come casi mortali.

Falco Accame
Presidente Ana-Vafaf


LA LETTERA "MORTA"
Roma, 8 ottobre 2008


Alla Presidente della Commissione Uranio
Impoverito del Senato
Senatrice Lidia Menapace
E membri della Commissione

Signora Presidente,

in relazione alla audizione del Ministro della Difesa, On. Arturo Parisi, Le allego un elenco di questioni sulle quali l’Associazione che presiedo ritiene di non avere avuto adeguate risposta.
Le sarei grato se potesse inviarmi copia dell’elenco dei circa 2.000 casi di malattia di cui si è avuta recentemente notizia al fine di poter confrontare i dati con quelli in possesso dell’Ana-Vafaf.


Falco Accame