martedì 18 dicembre 2007

UN GRAVE ERRORE NELLA RELAZIONE DEL MINISTRO PARISI

ALLA COMMISSIONE URANIO IMPOVERITO DEL 6 DICEMBRE 2007

9 motivi per cui la cifra di 56.600 missioni all’estero nei cinque anni dal 2002 al 2007 con 216 malati di tumore costituisce una falsa indicazione per valutare la pericolosità dell’uranio impoverito

Nella sua audizione presso la Commissione Uranio Impoverito del Senato del 6 dicembre 2007, il Ministro della Difesa ha affermato che: “... con l’obiettivo di una valutazione intermedia, va rilevato che per quanto riguarda i militari inviati all’estero, per l’ultimo quinquennio 2002-2006, in riferimento a questi cinque anni è possibile fornire il numero preciso di militari inviati all’estero cioè a dire dei militari che hanno partecipato a missioni nei quattro teatri considerati. Essi sono pari a 56.600 persone. In riferimento a questo denominatore, per quello che riguarda il numeratore, cioè il numero dei militari che risultano ammalati di tumore nello stesso quinquennio è pari a 216. Da ciò deriva che l’incidenza corrisponde a 380 casi ogni 100.000. A titolo meramente indicativo e rinviando naturalmente agli studi che abbiamo avviato, per quello che riguarda il complesso dei tumori in Italia, uno studio effettuato dai dati AIRT per il quinquennio 1998-2002, indica nel totale della popolazione maschile italiana che in media vengono ogni anno diagnosticati nel nostro Paese, 754 casi ogni 100.000 abitanti”.
Le indicazioni fornite dal ministro portano a stabilire che la incidenza dei tumori per i militari (308 casi ogni 100.000) è inferiore a quella che riguarda i civili (754 casi ogni 100.000). Dunque, secondo questa stima, l’uranio non solo non presenta aspetti di pericolosità nei riguardi dei tumori, ma anzi riduce tale pericolosità ed ha dunque un aspetto “positivo” sulla salute.
A parte la siderale differenza con quanto stabilito dal GOI, il Gruppo Operativo Interforze della Sanità Militare, con i suoi 1.991 casi su un campione ben più limitato, la cifra di 56.600 missioni all’estero con 216 casi di ammalati di tumore (i casi di morte non vengono indicati) appare fortemente mistificatoria per almeno 9 motivi.

1) I 56.600 erano a rischio zero (o quasi zero)
La cifra di 56.600 missioni nell’ultimo quinquennio, a partire dal 2002, si riferisce a militari che, se i Comandi hanno attuato debitamente le norme di sicurezza emanate dalla Kfor il 22 novembre 1999, hanno operato applicando tutte le misure di protezione e quindi si tratta di missioni a rischio praticamente zero. Infatti, i militari da considerarsi a rischio sono quelli impiegati in zone colpite (all’estero, ma anche in Italia) prima del 22 novembre 1999. Dal 2000 in là il personale all’estero doveva, infatti, operare adottando le misure di precauzione. Se ciò, in qualche caso non è avvenuto, occorre accertare le responsabilità dei Comandi da cui il personale dipendeva. Per quanto invece riguarda il personale civile inviato all’estero da amministrazioni diverse da quelle della Difesa (personale che però non fa parte dei 56.600), a questo personale, almeno a quanto risulta all’ANAVAFAF, nemmeno dopo il 22 novembre 1999 sono state impartite disposizioni per la protezione e resi disponibili i mezzi adeguati. Ma le 56.600 missioni riguardano solo il personale militare. E questo personale dovrebbe non essere considerato affatto tra il personale esposto. La cifra di 56.600 dovrebbe, in effetti, ridursi a zero.

2) Mancano missioni ed impieghi anteriori al 2002 mentre si include il Libano come zona a rischio
L’analisi, per quanto riguarda le zone a rischio, si estende, oltre che al teatro balcanico, ai teatri dell’Afghanistan, dell’Iraq e anche del Libano, zona, questa, dove finora era stato detto che il personale impiegato non correva alcun rischio.
Da osservare, inoltre, che nel conteggio, dato che si riferisce agli ultimi cinque anni, mancano proprio quelle missioni antecedenti al 2002 in cui il personale ha operato senza protezione e quindi era a rischio e cioè il personale impiegato nella I Guerra del Golfo nel 1991, nella Somalia nel 1993 e nella Bosnia nel 1994 e anni successivi.
Togliendo dal conteggio proprio le missioni a rischio (e quindi il personale possibile contaminato ammalato e deceduto in queste missioni), si offre una visione falsificata dell’insieme dell’incidenza dei tumori (ma vanno considerati non solo i tumori, ma anche le altre gravi forme di malattia che sono emerse).

3) Militari italiani e civili nei poligoni, nei depositi e impiegati nel recupero di armi dal mare
La cifra dei 56.600 militari in missione all’estero omette di considerare quella parte di personale militare e civile che è stato esposto al rischio da uranio impoverito perchè ha operato senza protezione in Italia nei poligoni (specie per il recupero a mani nude di armi inesplose e residuati bellici), che ha operato prima del 22 novembre 1999 (ma spesso anche dopo per quanto riguarda i civili) nei depositi (di armi, di rotabili e di vestiario) e il personale che ha recupero dal mare (specie nelle acque dell’alto Adriatico e della Puglia) proiettili lanciati dagli aerei A10 prima del rientro nelle basi di Aviano e Gioia del Colle. Anche sotto questo aspetto il numero di 56.600 è erroneo.

4) Andare in missione non significa essere esposti
La cifra dei 56.600 militari inviati in missione all’estero non corrisponde affatto al numero del personale esposto e quindi non può essere preso di riferimento per il personale malato. Infatti, solo una piccola parte del personale in missione all’estero (forse 1/2 o 1/5) si trova ad essere esposto in luoghi colpiti da armi all’uranio e in luoghi dove il personale ha raccolto, per il brillamento, proiettili all’uranio. Infatti, una larga parte di personale inviato in missione all’estero è destinato ad incarichi logistici e amministrativi, lontani dalle aree colpite. C’è chi è stato inviato all’estero per operazioni di Intelligence (i Servizi Segreti) in località non esposte, altro personale utilizzato nel settore Comunicazioni (ponti radio, etc.), altro personale che ha operato in strutture sanitarie, altro ancora che ha operato in impieghi di ragioneria o simili.
Quindi, a parte il fatto sopracitato che il personale, dopo il 22 novembre 1999 doveva operare con protezioni adeguate, e quindi non era da considerare come esposto, una larga parte di esso ha comunque operato in zone non esposte.
Inoltre, quando si parla di missioni, bisogna tener presente che un gran numero di missioni riguarda, ad esempio, quelle effettuate dagli aerei di trasporto che si sono recati in aeroporti all’estero, magari per consegnare materiale o portare delle persone, il personale degli aerei poco tempo dopo l’atterraggio e ripartito per l’Italia, senza trovarsi quindi esposto in alcuna zona contaminata.

5) Dimenticati i civili all’estero
La cifra di 56.600 militari, lo dice la parola stessa, esclude di per sé i civili che hanno operato all’estero in zone colpite, ma anche i civili che hanno operato in Italia. I civili all’estero (a parte quelli facenti capo al Ministero del Difesa) erano dipendenti dalla Presidenza del Consiglio, dal Ministero degli Esteri (si include in questo personale anche il personale del volontariato, largamente impiegato all’estero), dal Ministero dell’Interno (ad esempio Polizia di Stato), dal Ministero della Protezione Civile (Vigili del Fuoco), dal Ministero della Sanità (strutture ospedaliere) e dal Ministero del Tesoro (Guardia di Finanza).
Come sopra accennato, il personale civile, nella grandissima maggioranza (almeno a quanto è dato conoscere all’ANAVAFAF), non è venuto a sapere neppure della esistenza di norme di precauzione da adottare e ancor meno è stato dotato del materiale per proteggersi (maschere, occhiali, tute, guanti, etc.).

6) Dimenticati i civili in Italia
La cifra di 56.600 non include i civili che sono stati esposti in Italia nelle zone dei poligoni (ad esempio i pastori che operano in quelle zone) e i cittadini presenti nell’abitato limitrofo ai poligoni.

7) Diversità nella fascia di età tra personale militare e personale civile
La cifra di 56.600 in quanto si riferisce a personale militare impiegato all’estero, riguarda persone in grande maggioranza nell’età tra 25 e 45 anni (con estremi da 18 a 60). Invece, per quanto riguarda i civili che vengono presi in considerazione nel paragone tra pericolosità dell’uranio per i militari e per i civili (tra l’altro, non vi è solo una popolazione maschile, ma anche femminile da considerare) la gamma di età relativa ai civili è diversa da quella dei militari, copre infatti l’intero arco della vita (da 1 a 100 anni).

8) Non considerare solo i tumori ma anche altre gravi malattie
La cifra di 56.600 viene presa in considerazione solo in rapporto ai tumori che si sono verificati, ma non anche in rapporto alle altre gravi malattie che pure si sono verificate, come le malattie neurologiche (ad esempio sclerosi multipla), le malattie genetiche (che hanno causato la nascita di bambini malformi), ed altre gravi patologie come disfunzioni epatiche (che hanno, addirittura, portato al massimo della invalidità per le persone colpite).

9) Stato di salute media dei militari e stato di salute media dei civili
La cifra dei 56.600 si riferisce a personale militare. Un confronto con quanto accade per i civili è improprio, perchè lo stato di salute medio dei militari è migliore di quello dei civili in quanto i militari, per essere ammessi in servizio, sono soggetti a visite psicofisiche attitudinali molto severe, visite che si effettuano, poi, anche in seguito durante il servizio.
Si tratta, quindi, di due classi di persone, i civili e i militari, che sotto questo aspetto specifico della salute non possono essere direttamente messe a confronto.


Falco Accame
Presidente ANAVAFAF